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EMANUELE SCHIAVONE
Incontri - Mensile dell'Ass. Lucana di Roma e Lazio
Febbraio 1981
Nuova Serie, anno VIII n. 2

Cento candeline per un teatro

Francesco Stabile, musicista miglionicheseRoma - A Potenza il Teatro Stabile ha celebrato quest'anno il suo centenario. La sera del 28 gennaio del 1881 con « La Traviata » di Giuseppe Verdi ed alla presenza del Re Umberto 1° e della Regina Margherita di Savoia, veniva infatti inaugurato questo teatro di cui Potenza va debitrice alla libera iniziativa della cittadinanza e del Comune e alla valentia dell'architetto Giuseppe Pisanti, geniale artista lucano nativo di Ruoti, la cui fervida attività creatrice è legata principalmente a Napoli, dove morì ottantasettenne nel 1913 e fu sepolto nel cimitero di Poggioreale, nel recinto degli uomini illustri.

La denominazione « Stabile » non deve trarre in inganno: non è quella con cui sono definiti oggi molti teatri delle principali città italiane, ma il nome di un insigne musicista Francesco Stabile, nato a Miglionico il 20 agosto 1801 da Emanuele Stabile di Potenza e donna Caterina De Ruggieri di Miglionico, e morto a Potenza I'11 agosto 1860 Contemporaneo di Saverio Mercadante, Vincenzo Bellini e Francesco Florimo, autore quest'ultimo di quella utilissima storia della Scuola Musicale di Napoli edita la prima volta nel 1369, studiò al Conservatorio di San Sebastiano a Napoli, dove, ai primi dell'800, i quattro celebri Conservatori cittadini, costituitisi in meno di 36 anni (1557‑1592), Santa Maria di Loreto, i Poveri di Gesù Cristo (1589), S. Onofrio (1557) e la Pietà dei Turchini (1592), si erano riuniti in questo solo Collegio di musica, che passò poi in S. Pietro a Maiella.

Tra la sua notevole produzione, ricca di romanze, sinfonie, musica da camera e musica sacra, sono degne di essere ricordate le seguenti opere: “Lo sposo al lotto”. operetta comica su libretto di Andrea Passare, eseguita nel teatrino del Conservatorio (1826); « Palmira », melodramma in due atti su libretto di Felice Romani, rappresentata con successo al San Carlo (1836); « Braccio da Montone melodramma eroico su libretto di Pietro Micheletti, che. non vide le. scene (1848): la “Coccarda tricolore” inno per il 1848 del poeta Regaldi; Messa e Vespro a grande orchestra (1832); Strofe e salutazioni per la Via Crucis e pel Sangue di Cristo (1.49‑5v); Tantum‑Ergo, cinque per orchestra e sei per organo; il Tota pulchra, il Te‑Deum, il Libera‑me, I'Amplius, il Benedicat, il Dies irae, alcuni per organo e altri a piena orchestra; i Responsori di S. Francesco d'Assisi e di S. Antonio di Padova: gli inni a S. Gerardo, a S Fufemia ed alla Madonna della Pace; un Notturno a grande orchestra, in occasione della morte di Papa Gregorio XVI; dieci Sinfonie anche per orchestra, di cui una sola ridotta per pianoforte; sette Romanze ed altra musica da camera: il Miserere di Niccolò Zingarelli, direttore dal 1813 del predetto Conservatorio di San Sebastiano e tre anni dopo successore di Giovanni Paisiello nella Cappella del storno, e le quindici Litanie. tra cui una dedicata al Sacro Cuore di Gesù, ritenuta l'ultima sua opera.

Ma ritorniamo al teatro e seguiamo le tappe principali della sua storia. La costruzione ebbe, come tutte le nuove iniziative che sono avvenute e avvengono in Basilicata, un iter lungo e tormentato.

Potenza, divenuta nel 1806 capoluogo della provincia di Basilicata, doveva avere un pubblico teatro per essere alla pari con gli altri capoluoghi, e lo ebbe, durante il decennio, ubicato nella piazza del Sedile (oggi piazza Matteotti) nei vecchi e angusti locali della chiesetta della Congregazione dei Morti, passata al comune a causa delle leggi eversive. Successivamente per l'inidoneità e vetustà di detti locali già nel 1822 e poi nel 1839 si reputò opportuno la costruzione di un teatro ex novo, secondo il progetto dell'ingegnere Gaetano De Giorgio, per un importo presunto di ducati 21.700. Ma non se ne fece niente e quando i locali furono restituiti alla chiesa a causa dello disposizioni reali, per cui tutte le ex‑chiese dovevano essere restituite al culto, il pubblico teatro trovò alloggio alla meglio nella così detta Taverna Visconti a Porta Salza.

Tredici anni dopo per sbloccare tale precaria e indecorosa situazione si fece ricorso alla filantropia, dei singoli cittadini,  unico espediente atto ad ottenere i mezzi pecuniari necessari per realizzare nel capoluogo l'auspicato teatro, il cui progetto redatto ora dall'ingegnere Vincenzo Pascale era stato approvato con sovrano rescritto del 18 luglio 1857 per ducati 13.283,56. Furono così messe in vendita da parte del comune “azioni” da ducati 25 ognuna per l'ammontare di 13.450 ducati, da rimborsare secondo un piano pluriennale. 

La costituzione in effetti ebbe però inizio soltanto nel 1865 sotto la direzione dell'ingegnere Emanuele Bruno e con l'antico progetto revisionato ed ampliato dal citato Pisanti.

I lavori con il solito ritmo lucano lento e asfittico si prolungarono per ben sedici anni e furono ultimati in occasione della visita dei Reali, per cui il comune ritenne opportuno di completare li teatro e di realizzare l'illuminazione e la pulizia della città, nonché l'acquisto di un costoso mobilio, con arazzi e stoffe atti a decorare il reale appartamento. II municipio nell'occasione, per mancanza di denari, dovette rivolgersi alla Deputazione provinciale che diede in prestito senza interessi trenta mila lire da restituirsi in tre anni. La stessa Deputazione direttamente spese circa 216 mila lire per ricevere degnamente i Sovrani e il loro seguito.

Di questo avvenimento una cronaca ironica ci ha lasciato Fedele Romani, un maestro abruzzese da poco nominato insegnante nel ginnasio inferiore potentino, nel suo libro di impressioni “Colledara”

(Bemporad ‑ Firenze, 1915): « Durante il tempo che io ero a Potenza, nel gennaio del 1881, il povero Umberto e Margherita fecero un giro nelle province meridionali e vennero anche nella città dov'io mi trovavo . ...A Potenza adornarono, il meglio che poterono, per ricevere i Sovrani, il palazzo della Prefettura. II teatro è nella stessa piazza della prefettura; avevano ciò nonostante disposto che il re per la serata di gala vi andasse in carrozza, perché nella piazza si affondava nel fango: ma venuta l'ora del teatro, il re, forse per fare un atto di popolarità, disse che era suo desiderio dì andarvi a piedi stante la grande vicinanza. Fu un terrore generale in tutte le autorità, ma un terrore sordo e represso perché nessuno ardiva confessare la verità al Sovrano. Dopo un lungo consigliarsi, dopo un gran discutere affannoso si finì per prendere la decisione di ricoprire con stuoie lo spazio tra la prefettura e il teatro. Ma non avevano preveduto una cosa. Appena il re e il suo seguito cominciarono a camminare su quella via di paglia, il fango che era sotto risonava stranamente, con grande meraviglia del Re dei suoi dignitari che si guardavano i piedi; ma quel che peggio, la melma reagendo contro la pressione dei passi veniva fuori in piccoli arditi schizzi vulcanici qua e là, dovunque, riusciva ad aprirsi un varco nelle piccole fessurine della stuoia ».

I lavori all'interno del teatro furono eseguiti da valenti artisti di Milano e Napoli: il plafond raffigurante l’apoteosi di Pitagora ed il comodino illustrante la scuola di Metaponto furono dipinti da Luigi De Luise; la scenografia e le decorazioni furono eseguite rispettivamente da Corazza e Masi di Milano e Luigi Cangiano: il macchinario fu realizzato da Papa e Spezzaferri.

Questo pìccolo favoloso mondo teatrale, uno degli ultimi dell'ottocento, nel quale si è cercato di eliminare i difetti dei predecessori, facendo tesoro delle sorse, dei ritrovati tecnici sino allora acquisiti, dal giorno dell'inaugurazione fino all'ultimo conflitto mondiale ha svolto egregiamente il suo ruolo. Successivamente adibito a sala cinematografica ha tirato avanti fino a chiudere definitivamente i battenti intorno al 1970 nel più completo abbandono.

Oggi a cento anni di distanza, anche se la lirica non è più confinata nelle preordinate sale che architetti qualificati innalzarono in passato e si è portata l'opera un po’ dappertutto, ci auguriamo che i lavori di restauro a cui da tempo è sottoposto il vegliardo Stabile non durino in eterno, facendolo assurgere di nuovo in forma viva e vitale a fulcro animatore e rinnovatore della vita potentina, nel quadro unitario del processo di crescita democratica post‑terremoto della regione e nel nome di una funzione socio‑culturale svolta in una visione totalizzante dello spettacolo (opera lirica, musica sinfonica, concerti da camera, jazz, folk, attività promozionali) con la collaborazione preziosa del locale Conservatorio di musica, delle scuole e dell'associazionismo culturale e ricreativo (Emanuele Schiavone).

Da “INCONTRI” – Mensile dell’Associazione Lucana di Roma e Lazio – Nuova serie, anno VIII n. 2,  Febbraio 1981

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