DINO CENTONZE

 14 LUGLIO 2009

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Miglionico Edicola ambulante, porta bombole a domicilio e musicista popolare
Addio all’ultimo banditore
Si è spento a 94 anni Manuele u scéttabbànn’, al secolo Emanuele Calviello
(Leggi l'articolo dalla pagina de Il quotidiano della Basilicata)
Per ascoltare un tipico bando d' Manuel'  CLICCA QUI e QUI
Tante altre informazioni su MANUEL' in queste pagine tratte dal libro  CAVALLUCCI DI CRETA di Maria Augusta Galletti

Emanuele CalvielloMiglionico - La storia, si sa, non è fatta solo di grandi avvenimenti nazionali ed internazionali. Soprattutto quando si parla di piccoli paesi e realtà locali - essa è composta da tante microstorie che ogni comunità porta impresse nella propria memoria e che spesso hanno come protagonisti soltanto piccole cose ed uomini semplici.
Alcune settimane fa - ma per il suo valore simbolico vale davvero la pena raccontarlo anche oggi - a Miglionico,alla bella età di novantaquattro anni, è scomparso un uomo semplice, ma nello stesso tempo un vero e proprio pezzo di storia locale, regionale, forse italiana: Manuele u scéttabbànn', al secolo Emanuele Calviello, conosciuto anche come Manuele u cecat'. Probabilmente, l'ultimo banditore pubblico vivente della nostra regione. Epigono del tutto inconsapevole di un mondo antico, forse ora, completamente estinto. Ultimo rappresentante di un mestiere vecchio di tanti secoli, la sua definitiva scomparsa non appartiene solamente alla storia di Miglionico ma può benissimo essere raccontata all'internodi una storia assai più grande e antica: quella dei banditori pubblici. Vocabolo che evoca all'istante voci e suoni di un tempo lontano nello spazio, ma ben vivo e vegeto nell'archivio dell'immaginario collettivo dei cittadini lucani. Una figura che riporta subito la nostra mente ad una dimensione poetica e sognante, quella del mondo delle fiabe e anche del cinema, ma che allo stesso tempo - anche se in una forma molto più casereccia - è stata assai reale e presente in molti dei nostri paesi fino a poco tempo fa. Descrizioni curiose di questi teneri personaggi, la cui presenza pittoresca non era affatto sfuggita, si ritrovano negli scritti di Carlo Levi e altri etnologi che hanno saputo raccontare con occhi attenti la misera realtà dei paesi lucani dei decenni passati. Famosa è la pittura di Levi in cui è rappresentato mirabilmente il banditore becchino di Aliano, il paese che ospitava lo scrittore. Il nobile mestiere del banditore risale certamente al Medioevo quando i regnanti di turno, per far conoscere ai sudditi le loro decisioni più urgenti cominciarono ad assegnare a persone di fiducia il compito di girare tra strade e contrade per leggere ad alta voce editti e comunicazioni importanti. Queste persone giravano perlopiù a cavallo e per attirare l'attenzione delle piazze, utilizzavano il rullo di un tamburo o il suono squillante di una tromba. E' facile immaginare che, per i sudditi del tempo, l'arrivo del banditore dovesse significare l'imposizione di una nuova tassa; l'imminenza di una guerra o qualche altra sciagura simile. Talvolta -ma ahimè solo nelle fiabe - il suo arrivo poteva annunciare al popolo l'affannosa ma poetica ricerca di un Principe azzurro o di una Principessa. Sebbene in una forma più paesana, quel residuo di storia antica è giunto fino a noi grazie soltanto all'impegno di pochi uomini. Ormai, quasi sempre i più umili; i più poveri e semplici di ogni borgo. Da molto tempo i banditori nostrani non cavalcavano destrieri e si muovevano molto più prosaicamente a piedi tra i vicoli. Anche i loro annunci riguardavano argomenti più alla buona. Comunque, nonostante il mestiere fosse cambiato inevitabilmente nella forma e nel contenuto, non si può certo dire che la funzione sociale del banditore pubblico fosse diventata, per questo motivo, meno nobile e importante di un tempo. Anzi… Non va dimenticato che,in anni in cui la miseria e soprattutto l'analfabetismo era ancora molto diffuso in Lucania e altrove, la sola maniera di comunicare alla popolazione contadina provvedimenti amministrativi importanti o altre urgenze di carattere generale era, con tutta evidenza,quella di farli diffondere a voce dal banditore pubblico. Solo in questo modo l'amministrazione comunale (e dunque lo Stato) si assicurava che una notizia giungesse alle orecchie di tutti i cittadini, anche i più ignoranti. A Miglionico, soprattutto i più anziani, ricordano la voce di Manuele u scéttabbànn' quando, passando per i vicoli, annunciava a gran voce alle nonne e alle mamme gli orari della chiusura e apertura dell'acqua corrente nei lunghi e penosi periodi di siccità estiva. Tanto bastava per dare inizio, con brocche e secchi, alla immediata corsa all'approvvigionamento e al riempimento dei vecchi ed incredibilmente freschi pitàli di creta. Altri si ricordano quando veniva dato l'avviso che per ferma raccomandazione del sindaco tutta la popolazione - nessuno escluso - doveva recarsi al vecchio Municipio a mettersi in coda per fare la vaccinazione contro il colera che, nei primi anni Settanta, stava infestando pericolosamente tutto il Sud Italia. Ancora fino a pochi mesi fa erano giornalieri gli annunci che, principiando sempre con il tipico incipit «Attenzione!… Attenzione!…», ricordavano alle massaie la presenza del bancone del pesce fresco o della verdura paesana del montese alla piazza coperta. Qualcuno di questi ultimi annunci è stato registrato ed inserito recentemente su youtube. Come altri banditori vissuti nei nostri paesi, anche quello di Miglionico era un personaggio polifunzionale. Nella vita del paese Manuele u scéttabbànn' ricopriva la quadruplice funzione di banditore, edicola ambulante, porta-bombole a domicilio e dulcis in fundo musicista popolare.
Fonte unica ed inesauribile di un sapere musicale dalle radici antiche, nei suoi racconti echeggiavano ricordi di serenate, balli canti e feste vissute in gioventù al ritmo di tarantelle e “pezzica pezzica” suonate con gli strumenti più tradizionali:tamburelli, cupa cupa, ciaramelle, zampogne, violino, mandolino. Considerabile come un vero e proprio “albero di canto”, il vecchio suonatore nonostante l'età avanzata, di molti brani popolari ricordava ancora tutte le parole e le melodie. In qualche caso testi e variazioni melodiche erano stati creati da sè, sulla base anche di alcuni stilemi musicali tradizionali, una volta assai diffusi nei territori dell'entroterra materano. Ma Manuele u scéttabbànn' era soprattutto un abilissimo suonatore di frisc'chett; un piffero traverso in ottone, strumento divenuto tipico della tradizione bandistica della “bassa musica”. In anni remoti aveva dato vita alla “banna cozzavuff'l'”( banda lumachina); una piccola orchestrina ambulante di pochi elementi intercambiabili - quasi sempre suonatori ad orecchio - il cui suono fracassone e gioioso preannunciava, sin dal primo mattino, l'inizio di una qualche festa di paese. Tutti se lo ricordano come vera e propria icona di questa piccola banda incantatrice di bambini. nIl repertorio della banda cozzavuff'l' era rappresentato da marcette popolari e militari, ma anche tarantelline e frammenti di pezzi della tradizione bandistica più colta, arrangiati alla buona e reiterati all'infinito nelle loro parti più melodiche proprio per renderle più facilmente fruibili alle orecchie di tutti. Oggi, quella straordinaria tradizione miglionichese continua grazie all'impegno di Amico Padula Pasquale, un fine cultore della musica “alta” e “bassa”. Capitanando una rinnovata formazione che prende l'arcaico nome di “Terra di Cencree”, il giovane “discepolo” e i suoi eccellenti amici musicisti, tra cui il novello pifferaio Di Vincenzo, hanno avuto la lodevole e commovente idea di omaggiare il vecchio maestro accompagnando il corteo funerario, fino al cimitero locale, al festoso suono delle musiche a lui più care. Un segno di grande sensibilità e rispetto a cui si sono associati idealmente tutti i paesani e gli emigrati sparsi nel mondo a cui, nel frattempo, è giunta la notizia e nella cui mente rimarrà scolpita per sempre l'immagine di Manuele u scéttabbànn'. Con la morte di quest'ultimo banditore si può dire, non senza un velo di tristezza, che si sia chiuso definitivamente il sipario su un altro frammento della civiltà contadina lucana. Dino Centonze

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