“A
grandi linee – scriveva Karl Marx nel 1859
-, i modi di produzione asiatico, antico,
feudale
e moderno possono essere designati come
epoche progressive della formazione
economica della società”. Secondo la
concezione della storia enunciata dal
filosofo di Treviri (1818-1883) nelle opere
della maturità, “Per la critica
dell’economia politica” (1859) e i
“Grundisse” (1857-1858), manoscritti rimasti
inediti per quasi un secolo, il modo di
produzione borghese era una tappa necessaria
del processo economico, la sola da cui
avrebbe potuto scaturire la
rivoluzione proletaria. Una concezione
deterministica (ed eurocentrica) che
tuttavia non fu del tardo Marc, come per
primi notarono in Italia Bruno Bongiovanni e
in Gran Bretagna Teodor Shanin e ora
Ettore Cinnella, uno
dei maggiori studiosi della cultura e della
storia russe nel saggio “L’altro
Marx”, appena edito da
Della Porta (pagine 181, euro 15).
Scopo del libro di Cinnella è dimostrare,
attraverso una serie di carteggi con gli
amici e corrispondenti russi, come l’autore
del “Capitale” nell’ultimo decennio di vita
abbandonò il suo determinismo per arrivare a
una rivalutazione delle forme economiche
cosiddette primitive. Al centro della
questione ci sono il ruolo della comune
agricola russa (l’obscina) e i rapporti con
il movimento populista. L’autore racconta il
complesso rapporto di Marx (e Engels) con i
corrispondenti russi: da una iniziale
diffidenza se non una vera e propria
ostilità verso il mondo slavo, il filosofo
tedesco maturò prima un graduale interesse
all’approfondimento dello studio del modo di
produzione nell’impero zarista, al punto da
imparare in tarda età il russo, poi un
radicale cambiamento.
Cruciali in questa evoluzione intellettuale
sono tre nomi: Nikolaj Francevic Daniel’son,
“colto e serio economista, noto soprattutto
per la violenta polemica di Lenin contro di
lui”, che si sobbarcò il peso della
traduzione in russo del “Capitale” e fornì
al filosofo che abitava a Londra una serie
di testi sui quali egli avrebbe aggiornato
le sue teorie; lo studioso Maksim Maksimovic
Kovalevskij, autore del libro “La proprietà
comunitaria della terra: cause, svolgimento
e conseguenze della sua dissoluzione”,
uscito a Mosca nel 1979 e che fu alla base
della definitiva “conversione” di Marx;
infine, la rivoluzionaria Vera Zasulic,
responsabile di un attentato contro il
governatore di Pietroburgo. Fu questa audace
rivoluzionaria, uscita insperatamente
assolta dal processo, a scrivere a Marx il
16 febbraio 1881 un’angosciata lettera in
cui chiedeva al padre del comunismo lumi
sulla “comune rurale”: “delle due l’una, o
questa comune rurale, affrancata dalle
smodate esazioni del fisco, dai tributi ai
signori e dagli arbìtri dell’aministrazione,
è capace di svilupparsi in senso socialista,
vale a dire di organizzare gradualmente la
produzione e la distribuzione dei prodotti
su basi collettivistiche… o se è destinata a
perire, al socialista in quanto tale non
resta che abbandonarsi a calcoli più o meno
malcerti per appurare tra quante decine
d’anni la terra del contadino russo passerà
dalle sue mani in quelle della borghesia…”.
La risposta di Marx fu sorprendente:
“L’analisi data nel “Capitale” non offre
motivi né a favore né contro; ma lo studio
speciale che io vi ho dedicato, e i cui
materiali sono andato cercando nella fonti
originali, mi ha convinto che questa comune
è il fulcro della rigenerazione sociale in
Russia. Ma perché possa svolgere tale
funzione, bisognerebbe dapprima eliminare le
influenze deleterie che l’assalgono da ogni
parte e, poi, garantirle le condizioni
normali d’uno sviluppo spontaneo”.
A questo punto la vicenda della
corrispondenza tra l’anziano filosofo e la
rivoluzionaria russa storia si tinge di
giallo. La lettera di Marx fu ricopiata e
spedita a Georgij Valentinovic Plechanov,
che aveva preso le distanze dal movimento
rivoluzionario populista in nome del
marxismo. Ma il padre del marxismo russo
cominciò la sua carriera occultando la
lettera di Marx. Le prime notizie
dell’importante documento si ebbero a
partire dal 1911 quando alcuni abbozzi della
lettera a Vera Zasulic furono trovati tra le
carte lasciate dal filosofo tedesco al
genero Paul Lafargue.
Il cambio di prospettiva dell’ultimo Marx,
osserva Cinnella, non riguardano soltanto l’obscina,
ma tutto le comunità precapitalistiche. Il
filosofo aveva letto, grazie a Kovalevskij,
l’”Ancient Society” dell’antropologo Lewis
Henry Morgan e si era convinto che forme
vitali di economia erano state distrutte non
solo da fattori economici ma soprattutto da
brutali interventi politici.
A proposito delle comunità rurali russe,
commenta in conclusione Ettore Cinnella, “fu
lo Stato bolscevico – il quale diceva di
ispirarsi a Marx – a progettare e attuare
negli anni Trenta del Novecento, il furioso
assalto al mondo contadino, che provocò
un’ecatombe umana di proporzioni gigantesche
e distrusse le basi materiali dell’economia
sovietica”. Dino
Messina
(http://lanostrastoria.corriere.it/2014/08/02/marx-il-primitivo-un-grande-libro-di-ettore-cinnella/) |