...Tra color che son sospesi

MIGLIONICO. Era da aspettarselo: puntualissimo l’amico Giacomo mi sollecita un giudizio sull’esito delle elezioni siciliane. Dopo aver evidenziato i dati emersi dalla consultazione, mi pone alcune domande che richiedono un’analisi piuttosto approfondita dei risultati. In pratica mi chiede un commento sull’insuccesso del Pd; se la colpa à da attribuire solo a Renzi e che cosa può insegnare il voto siciliano alle forze politiche in generale.

Prima però di affrontare l’argomento in questione, mi sento obbligato a rispondere, sia pure in breve, ad un altro quesito che Amati mi ha posto qualche tempo fa sul significato del referendum svoltosi in Lombardia e in Veneto. Com’è noto, il 18 ottobre scorso in quelle due regioni, per iniziativa dei rispettivi governi regionali, s’è svolto un referendum consultivo per rivendicare dallo Stato centrale una maggiore autonomia.

E’ un tema così complesso e delicato da richiedere il giudizio di esperti costituzionalisti, non di un cittadino sprovveduto in materia come il sottoscritto. In ogni modo non mi sottraggo dall’esprimere la mia pur modesta opinione. A dire il vero, una tale rivendicazione, oltre a costare alle Istituzioni un bel po’ di quattrini, mi è sembrata alquanto generica e pretestuosa, almeno nella formulazione dei quesiti. Salvo poi constatare che, a spoglio avvenuto, le vere intenzioni si sono subito appalesate.
Il governatore veneto, Zaia, reclama addirittura lo Statuto speciale per poter decidere in proprio su istruzione, economia e tasse. Insomma l’obiettivo dichiarato è ormai evidente: divenire “padroni in casa loro”. Le motivazioni reali che sottendono a questo disegno scellerato sono da attribuire a un sentimento di egoismo collettivo, per cui quello che produco è solo mio; se qualcosa avanza può essere devoluto in beneficienza per i poveri.

“Niente a che vedere col vecchio secessionismo troppo faticoso – scrive ironicamente Michele Serra sull’Espresso – qui si tratta di rivendicare l’autodeterminazione economica e fiscale: i soldi devono rimanere subito sotto il materasso, pronti per l’uso, senza che lo Stato accampi le sue assurde pretese per scuola, sanità, cultura, esercito, protezione civile e altre sciocchezze che servono solo per scroccare quattrini alle regioni”. Sulla scia del Veneto e delle valli lombarde ogni regione, com’è già accaduto per alcune, potrà rivendicare il diritto di gestire in proprio le risorse prodotte. Così va a farsi benedire il principio di sussidiarietà e a mettere in pericolo l’unità stessa della Nazione, conquistata col sacrificio e col sangue dei nostri padri.

Roma che farà? Mi chiede Amati. Arrendersi alle pretese dei “ribelli” sarebbe come innescare una slavina disgregatrice e pericolosa per la tenuta delle Istituzioni. L’unica via legale, e opportuna da percorrere, è realizzare appieno il dettato costituzionale, i cui articoli dal 117 al 120 del Titolo V, contemplano i rapporti tra Stato e Regioni. Per questioni di carattere particolare sarà doveroso ricorrere alla Conferenza Stato - Regioni al completo. C’è solo da sperare che le ultime vicende della Catalogna possano far rinsavire i promotori di certe assurde rivendicazioni.

Dopo questa doverosa parentesi, rispondo ai quesiti di più urgente attualità riguardanti l’esito delle elezioni siciliane. Ormai sono trascorsi già alcuni giorni dall’evento e i miei pazienti lettori si sono già fatta un’idea di come sono andate le cose. In ogni modo esprimo ugualmente le mie opinioni in merito. I primi inconfutabili dati sono: oltre il 50% dei siciliani ha disertato le urne; la vittoria, sia pure stentata, è andata all’alleanza di Centro- destra; Renzi ha perso, ma con lui tutta la Sinistra; la lista di Alfano è sparita; i 5Stelle hanno conseguito un buon risultato (allegretto ma non troppo). Il sorpasso della Sinistra radicale sul Pd non c’è stato.

Su questi dati occorrerà riflettere non poco. Non è che una così massiccia astensione debba passare inosservata, anzi è il dato più preoccupante. Se un così alto numero di cittadini rinuncia ad esercitare un diritto-dovere fondamentale, vuol significare una sola cosa: la classe politica tutta non merita la fiducia del popolo sovrano. Il protrarsi di un comportamento così rinunciatario non può che indebolire i sistemi democratici e innescare un’involuzione a livello politico e sociale. Questa è la lezione che le forze politiche siciliane, e non solo, dovrebbero far propria: intercettare i bisogni dei cittadini, predisporre programmi concreti e realizzabili, trasparenti, secondo giustizia onestà e legalità, e scevri da interessi personali e di casta.
Solo a queste condizioni, i cittadini saranno invogliati a recarsi alle urne per scegliere liberamente le forze migliori e gli uomini più capaci. Può sembrare utopia, ma è la via obbligata per riportate il popolo a votare e sconfiggere il populismo dilagante. L’alleanza di Centro- destra ha senz’altro vinto, ma col rotto della cuffia, come suol dirsi. Tra impresentabili e trasformisti il traguardo è stato raggiunto. Speriamo che il “povero” Musumeci, che già comincia a perdere pezzi, riesca davvero a governare e realizzare, almeno in parte, le promesse fatte.

L’ipotesi di una Grosse Koalition alla tedesca non troverebbe alcun sostegno, considerata la natura refrattaria delle opposizioni e la composizione eterogenea della maggioranza. Altro discorso va fatto per i 5Stelle. Sono convinti di aver ottenuto un risultato eccezionale, sulla base del quale pensano di poter ripetere il bottino a livello nazionale. In verità in Sicilia la loro consistenza elettorale non supera quel 26% che avevano già ottenuto nelle elezioni del 2012. Il 35%, sbandierato ai quattro venti, l’hanno ottenuto con i voti personali dati a Cancelleri dai delusi della Sinistra.

Ormai sono euforici e pensano addirittura di raggiungere il fatidico 40% nelle prossime elezioni nazionali. Il loro leader, Di Maio, si è talmente montato la testa che ha rinunciato all’incontro con Renzi perché non lo giudica più all’altezza del suo status. Così facendo non solo ha dimostrato la sua alterigia e la sua viltà, ma ha offeso i 2 milioni di democratici che hanno eletto Matteo Renzi segretario del Pd. Non ci resta che accennare al pessimo risultato subito da Renzi e dal Pd in generale. La sconfitta è reale e molto pesante ma, come di sopra accennato, va attribuita non solo a Renzi e al Pd, ma a tutta la compagine di sinistra. Era una sconfitta annunciata, per due ragioni: la gestione cervellotica e fallimentare di Crocetta e l’assurda frammentazione delle forze della Sinistra. Le scissioni vecchie e nuove non fanno altro che rendere sterile quel che rimane del glorioso e nobile ideale socialista che ha “ forgiato” intere generazioni. Non sono bastate le nobili figure di Micari e Fava a far “ragionare” i protagonisti delle guerre intestine che hanno avvelenato il voto siciliano. Risultato: ridotti con le ossa rotte entrambi gli schieramenti.

A questo punto chiedo scusa ai lettori se, terminata per così dire l’analisi oggettiva dei risultati siciliani, mi soffermerò per un momento sulla situazione nazionale, in vista delle prossime elezioni politiche. Lo farò non da osservatore obbiettivo, ma da soggetto interessato alle sorti di tutta la Sinistra. E’ sotto gli occhi di tutti lo stato di crisi ideale e politica che ha investito l’Italia in questi ultimi anni. Buona parte delle cause è dovuta alla crisi economica e finanziaria che, a partire dal 2008, ha falcidiato risorse e posti di lavoro. Non da meno hanno contribuito l’anomala ondata migratoria, la corruzione dilagante, i disastri ambientali e il venir meno dei valori tradizionali.

Ciò che più ha pesato in questo disorientamento collettivo è stata la crisi delle Istituzioni e dei partiti tutti che, per decenni non sono riusciti a varare un minimo di regole condivise che permettessero ai governi stabilità e continuità di gestione. Solo in “calcio d’angolo” per usare un’espressione calcistica, è stata approvata in tutta fretta una legge elettorale confusa e inadeguata, il cosiddetto Rosatellum. A dirla con Ilvo Diamanti, “Fine legislatura, comincia l’età della nebbia. Non si vedono all’orizzonte programmi, coalizioni, leadership. Unica certezza: nessuno potrà governare”.

Tutto sembra essere fermo o sospeso. Questo è il quadro che i partiti hanno di fronte in vista delle imminenti elezioni. Il Centro-destra, sotto la regia dell’immarcescibile Berlusconi, è ormai sul punto di dar vita a un’alleanza di ferro, non importa se a costo di mettere insieme le forze più disparate. L’importante è acciuffare di nuovo il potere. L’Uomo di Arcore si è già creato come avversario di comodo il M5S, dando per scontato che la Sinistra è ormai fuori gioco.

I 5Stelle, galvanizzati dal successo siciliano (drogato, secondo me), sperano di raggiungere il 40% e governare da soli. Sperar non nuoce dice il proverbio. La realtà è ben diversa: Ed è quella fotografata da Ilvo Diamanti. La prospettiva di vivere per mesi, forse per anni, in attesa di un governo stabile, è molto lontana. Sembra che tutto sia davvero sospeso, in attesa di chissà quale demiurgo capace di risolvere i destini dell’Italia. “Mezzo sistema è sospeso come un lampadario – argomenta Denise Pardo – quel che conta è non restare appesi”.

Siamo finalmente giunti nel campo frastagliato e minato della Sinistra. Sarà capace di far propria la lezione siciliana? Al momento nulla fa sperare in bene. Renzi e il Pd sono anch’essi sospesi tra l’apertura senza condizioni ai gruppi radicali alla loro sinistra o tenere aperto uno spiraglio per eventuali accordi di stampo “nazareno”. E’ vero che nella direzione di ieri 13, Renzi ha dato segni di ravvedimento, ma il cammino è ancora molto accidentato se si vuol raggiungere un compromesso accettabile con gli “scissionisti”.

In verità il segretario ha lanciato un appello di unità in più direzioni: a Emma Bonino e ai Radicali, con i quali ha avuto un positivo abboccamento, ai Verdi, agli alfaniani, ai liberal democratici e, in special modo al Campo progressista di Pisapia. In particolare si è rivolto all’Art.1-MDP cui ha proposto di scrivere insieme una pagina bianca del programma futuro, senza abiurare le cose già fatte. Si possono migliorare, ha precisato, non cancellarle. Piuttosto positivi i riscontri di gran parte delle varie anime interne del Partito. L’appello però non è stato favorevolmente accolto, né da Fratoianni né da Bersani, i quali si aspettavano da Renzi un sincero mea culpa. Bersani se n’è uscito col sarcasmo che gli è congeniale: “Non c’è tempo di pettinare le bambole”.

Questi ultimi invero sono alla ricerca spasmodica di un condottiero senza macchia per creare un antagonista a Renzi. Ieri sponsorizzavano Pisapia, oggi Grasso, domani chissà. Probabilmente la presidente della Camera. Tutti però sono consapevoli che solo uniti si potrà sperare di dare un governo di progresso al Paese. Ma i distinguo, come s’è visto, sono a getto continuo e non lasciano molto sperare. D’alema pretende dal Pd una discontinuità di leadership e di contenuti. Giusto, purché l’invito sia rivolto a se stesso e agli amici bersaniani.

Grasso, catapultato nell’agone politico, per darsi un tono da primo attore, sentenzia che, dopo di lui e Bersani, il Pd è finito. La Boldrini rincara: “ Non ci sono per il momento le condizioni di un’alleanza”. Insomma “l’è tutto da rifare” direbbero gli amici toscani. In verità qualche segnale interessante, almeno dal mio punto di vista, era cominciato ad affiorare. Dal 9 al 19 di questo mese è in atto il tentativo di aggregare sotto un unico soggetto politico tutti i gruppi a sinistra del Pd: Mdp, Sinistra italiana, i fuorusciti di Civati.

Sulla falsariga dei Caucus all’americana (sperando che non si dissolvano in couscous alla siciliana), si incontrano per definire strategie e programmi. Nell’assemblea del 19 è prevista la presentazione di un documento che indichi in primo piano il lavoro, la salute e il fisco. In contemporanea, il Campo progressista di Pisapia riunisce la nuova minoranza del Pd, gli amministratori “Arancione”, la Bonino e i Radicali, i Presidenti di Camera e Senato. Anch’essi per rivendicare oltre al lavoro, istruzione, tasse, eguaglianza, inclusione, giustizia sociale. Tutti auspici condivisibili e indispensabili per il bene dell’Italia. Purché non restino desideri generici e vuoti di contenuti.

Perché possano davvero concretarsi in progetti concreti sarà giocoforza tradurli in un programma unitario condiviso da tutte le forze al lato del Pd, con cui intavolare un confronto serio e senza condizioni. Se l’ondata di gelo riversatasi sull’Italia servirà a rinfrescare la mente dei nostri eroi, il progetto potrà realizzarsi, altrimenti… Condivido pienamente la proposta avanzata da Franceschini qualche giorno fa: lavorare prioritariamente ad un programma comune; solo successivamente designare il candidato premier dopo vere primarie di coalizione. (I lettori mi scuseranno per la mia immodestia, ma non era questo che avevo proposto oltre cinque mesi fa?). Anche Renzi sembrava d’accordo. Non rimane che fare gli scongiuri.

Al termine di questo lungo discorso “mi si consenta” di fare una proposta “indecente”. Con questa legge elettorale, è opinione concorde, non si produrrà alcuna stabilità di governo. Nulla di più facile che si ricorra a nuove elezioni in tempi piuttosto ravvicinati. Così stando le cose, un atto di estremo coraggio da parte di tutte le forze in campo potrebbe risolvere il problema una volta per sempre. La proposta è: protrarre di qualche mese la legislatura (Almeno fino a Maggio) per dare tempo ai partiti di affrontare adeguatamente la prova elettorale; soprattutto per trovare il tempo necessario per rifare una legge elettorale che assicuri davvero al Paese governabilità e stabilità di governo. Impossibile? No di certo. Occorrono coraggio e responsabilità. In sintesi la proposta è la seguente: premio di maggioranza ai singoli partiti che riescano a raggiungere il 40% dei consensi; stesso premio alle liste di coalizione che raggiungano il 45% sotto un unico simbolo. In assenza di tali traguardi, ricorrere al ballottaggio tra forze singole o associate, al di sopra del 30% dei voti.

Sarebbero soddisfatti i 5Stelle che pensano di andare oltre il 40%. Contenti tutti gli altri che potranno scegliere tra allearsi o correre da soli. Non avrebbe neanche senso prevedere sbarramenti di alcun genere. Utopia? Basterebbe, oltre al coraggio, un po’ più di amore per il proprio paese. Può sembrare l’uovo di Colombo, ma talvolta un minimo di buon senso può dare la soluzione a problemi complicati e all’apparenza insolubili.

Un ultimo consiglio mi permetto di dare a Renzi. E’ lo stesso che gli ho rivolto in tempi non sospetti (I lettori ricorderanno): si batta fortemente per riuscire a designare un candidato del Pd alla guida del Paese, senza veti per alcuno, solo a seguito di primarie di coalizione. Si fermi un giro per rimettere in sesto il Partito, bisognoso di una giuda autorevole e dotata di grandi risorse quale egli è. Soprattutto lavori per dargli un assetto realmente democratico, ad iniziare dai territori fino ai vertici nazionali. Non sembri una sciocchezza, ma è assolutamente necessaria se si vuole che il Pd riconquisti la fiducia dei cittadini, soprattutto dei giovani. E’ un sacrificio che col tempo meriterà l’approvazione di tutto il Paese.
Miglionico 14.11.2017
Domenico Lascaro
(d.lascaro@libero.it

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