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GIACOMO RACIOPPI 
Il Quotidiano della Basilicata
15 Agosto 2010
L'Unità in Basilicata
E il sacerdote parlò d'Italia in Piazza
L’entusiasmo generale suscitato dalla festa politica parve giungesse al delirio
(
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Giacomo Racioppi (foto: dalla rete)L’insurrezione lucana è ormai nel pieno: ecco che cosa accade a partire dal 16 agosto 1860 a Corleto, fino alla mattina del 18, giorno in cui ad insorgere sarà Potenza. A darne notizia, le pagine lasciate in eredità da Giacomo Racioppi (Storia dei moti diBasilicata e delle province contermini, nell’edizione pubblicata da Laterza nel 1910, con l prefazione di Pietro Lacava). (...) Chiusa intanto la discussione, alle cinque del pomeriggio del giorno 16 di agosto, i Capi civili e militari della impresa, i comitati provinciale e municipale di Corleto, che in sé assommavano quanto alla città era di cospicuo per agiatezza e cultura, tutto il clero, tutti gli ufficiali pubblici escono di casa Senise per proclamare in forma solenne l’Unità d’Italia. Il vessillo degli italici colori e delle armi sabaude precedeva levato in alto dal giudice del circondario; la milizia cittadina facea ala in sul passaggio; militari musiche echeggiavano; massa di popolo plaudente chiudeva il corteggio. Deposero gli stemmi della signoria, che cadeva, levarono in alto gli stemmi e le immagini del Re, che con la virtù della lealtà e con la forza della libertà traduceva nel fatto la secolare utopia dei grandi uomini d’Italia. In piazza Castello un sacerdote parlò d’Italia al popolo assembrato; il colonnello Bodoni alle milizie non più cittadine, ma nazionali; e l’Unità fu bandita, prima che in altra parte del basso continente, a Corleto sul Sauro. L’entusiasmo generale suscitato dalla festa politica, e da religiosa festa che in quello stesso giorno ricorreva, parve giungesse al delirio, quando, a prima sera, fra gli accesi fuochi artifiziali e le baldorie del popolo, si annunzia l’arrivo del primo drappello insurrezionale, che giungesse alla chiamata. Era il contingente di Pietrapertosa in quarantacinque militi armati: i quali, bene auspicanti de’ futuri eventi, furono accolti tra’ i plausi frenetici di chi vedea per essi dileguarsi l’incubo della incertezza. Il secondo drappello arriva, il giorno dopo, da Aliano in quattordici uomini (...). Il secondo drappello arriva, il giorno dopo, da Aliano in quattordici uomini, quindi Armento in quaranta. «Nelle ore vespertine del giorno 17 - così riferiva un testimone ed attore precipuo del dramma, che veniasi svolgendo come nazionale epopea, l’egregio Domenico de Pietro - giungeva avviso, che erano in marcia per Corleto le colonne dei sottocentri di Ferrandina e di Miglionico; e infatti non guari dipoi erano viste sventolare nel Sauro le prime bandiere dei primi accorrenti. Quanto non produsse la nostra attitudine fiduciosa e battagliera! Alla lunga fila di armati, che approssimava al paese, quasi tutto il popolo usciva incontro. Trombe, tamburi, bandiere… era la vera festa della rivoluzione. La colonna di Ferrandina comandavano Carmine Sivilia e Giacomo de Leonardis, entrambi capitani della guardia cittadina; un elegante drappello di cavalieri veniva innanzi; e due giovanissimi monaci, con la bandiera e il crocefisso in mano, erano a capofila dei fanti. Seguiva la colonna del sottocentro di Miglionico, capitanata dall’operosissimo Giambattista Materi, che non ostante la lunghissima tappa e il sole ardentissimo, avea marciato a piedi sin dal 16 a sera. Veniva dopo Missanello, comandante Rocchino de Petrucellis; ed infine Gallicchio, che di speciale menzione è degno, per avere presentati, al primo invito, di una breve popolazione ottantadue uomini, condotti dal ferreo Robilotta: e se, quali Gallicchio, sempre pronto e parato all’azione, avesse avuto Corleto nella sua sfera d’influenza altri due o tre paesi, avrebbesi potuto iniziare il moto in quale voleasi tempo. E dalla linea di settentrione giungevano quasi contemporaneamente i drappelli di Gorgoglione e di Cirigliano, con a capo Giuseppe Bruno. Un momento più tardi arrivò Montemurro e Spinoso, questi comandati da Pietro Bonari, quelli da Niccola Albini». Mentre a questa truppa riforniva il comitato corletino le accolte munizioni e arnesi da guerra, e, cui mancassero, armi, calzari, vestimento, il Capo militare costituì lo Stato maggiore, il quartier generale, la Intendenza militare coi suoi uffizii del pagatore e della fornitura. La cassa militare raccolse quattromila ducati; il quartier generale composero ottanta già disertori del napoletano esercito e riuniti alla spicciolata in Corleto. Allo Stato maggiore ebbero ufficii i più pronti e culti giovani trai militi insorgenti; e capo di esso fu Carmine Senise, già anima e capo del Comitato di Corleto, la cui costanza di propositi, fervore di opere, ed efficacia di azione è debito, nonché lodare, di ammirare: sottocapo fu l’ingegnere Domenico de Pietro, cittadino egregio, carattere antico. All’alba del giorno 18 è dato il segnale della partenza: tra le acclamazioni e gli augurii di tutto il popolo festante cinquecento uomini, e squadre di cavalieri in avanguardo, aprono la marcia. Presso a Laurenzana il municipio e i notabili della città escono incontro a cavallo per complire di rinfreschi e di ristori tutti gli armati; ai quali si aggiunsero il drappello del comune con a capo Basilio Asselta, e l’altro di Accettura guidati dall’ottimo Leonardo Belmonte, medico. Presso ad Anzi nuove allegrezze ed acclamazioni di popolo, e vettovaglie e ristori del Municipio, e, nuovi armati col bravo Francesco Pomarici. Ad ogni tratto della via nuovi drappelli arrivavano alla posta, da Viggiano, da Tramutola, da Saponara, poi da Calvello, da Abriola, da Pietrafesa, da Vietri, da Picerno... ; che mi è paruto fosse di alcun pregio a queste memorie il venire partitamene ricordando, lieto l’animo che rammemora si concordi e pronti spiriti di libertà; sdegnoso se guarda il presente in curioso di tutto, che non fosse aritmetica di quattrini, sapienza del tornaconto. Giunsero che era già buio a piè del colle, su cui siede la città di Potenza, e si numerarono intorno agli ottocento. Ma già la città era stata amicamente occupata dalle legioni venute dal Melfese e dal Materano; già sgombra dal presidio de’ gendarmi; i quali erano stati anzi sbrattati dal popolo stesso la mattina del giorno medesimo, come ci accingiamo a narrare. Giacomo Racioppi

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