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PIERO QUARTO
ROSSELLA MONTEMURRO
 
Il Quotidiano della Basilicata
8 Aprile 2011
La scomparsa. Anni di agonia: «Terrorizzata con le spade Se vai via, vado in Algeria con la bambina»
Finisce l’incubo per Debora
La 32 enne era scappata dal marito, arrestato Kerouchi per minacce, maltrattamenti e violenza sessuale
Debora Citro (Foto: Trmtv.it)MATERA - Debora Citro sta bene ed ha “vuotato il sacco” cioè ha trovato il coraggio di denunciare suo marito. E’ la violenza il motivo per cui era fuggita fino a Lecco senza lasciare tracce di sè ma confidandosi solo con un amico. La giovane donna, tenuta segretamente sotto controllo dalla Polizia nella giornata di mercoledì per chiarire i fatti e denunciare ciò che era successo in questi anni, ha fatto emergere definitivamente anni di violenze, minacce, maltrattamenti, culminati qualche anno fa in una denuncia poi ritirata ma nulla di più. Di certo però quel rapporto non funzionava più e la donna ha chiarito le ultime vicende davanti agli uomini della Squadra mobile della Questura e al Pubblico Ministero Annunziata Cazzetta che hanno assistito alla sua denuncia, dodici pagine totali che sono state verbalizzate e che costituiscono un vero e proprio collage di minacce ricevute. Debora ha tirato fuori anni di maltrattamenti che l'hanno fortemente provata e l'hanno di fatto obbligata a scappare, a fuggire via da una situazione tanto orribile. La donna di 32 anni è stata ritrovata a Lecco dalla Polizia che ha provveduto ad arrestare il marito Alen Kerouchi di 45 anni con l'accusa di violenza sessuale continuata ed aggravata, maltrattamenti e minacce. Il fermo deciso mercoledì sera è scattato poco dopo la fine della registrazione di “Chi l'ha visto” di cui Kerouchi è stato ospite. Quella che alla luce dei fatti per gli investigatori risulta essere stata una vera e propria sceneggiata. Tutto finto, il rapporto coniugale con la moglie, la disperazione dell'uomo e soprattutto le lacrime viste in tv. Debora infatti era già con le forze dell'ordine che ascoltata la sua versione hanno capito i motivi della fuga e deciso il fermo dell'uomo, provvedimento firmato dal Pm Cazzetta. “Where and Why” cioè non solo dove ma perché è il nome dell'Operazione portata a termine dalla squadra mobile di Matera che non solo ha identificato e tratto in salvo Debora Citro ma le ha anche permesso di confidarsi, sfogarsi e denunciare i maltrattamenti continuati che subiva da oltre sei anni dal marito. La donna ha raccontato tutto alle forze dell'ordine: “ci troviamo di fronte ad un uomo che considera le donne come un suo oggetto da gestire a piacimento”, ha raccontato il capo della squadra mobile Nicola Fucarino, “la consensualità nel rapporto sessuale non la prende proprio in considerazione. Un uomo che una sera sì e l'altra no ritiene di stuprare la donna e se la moglie resiste si toglie la cinta e la minaccia. In più di un'occasione ha usato delle spade ed altre armi da taglio che possedeva senza averle denunciate per puntarle al petto della moglie e minacciarla di non parlare e di non andar via. Devi pensare ad una bilancia, le diceva, su un piatto ci sono io e sull’altro c’è la morte». Sono queste le parole pesanti, gravi che l’uomo pronunciava per intimidire la moglie. Ma in realtà era un'altra la minaccia più pesante che Debora subiva e riguardava sua figlia: “ad ogni tentativo di allontanamento la minacciava di morte e le diceva che lui è pronto ad andarsene via con la figlia, a ritornare in Algeria. Aggiungendo “guarda che lì è sette volte più grande dell'Italia e non c'è modo di trovarmi”. E proprio la figlia è il legame più forte che frena la voglia di andare via della donna. Che impedisce prima l’esplodere di queste denunce. Insomma una serie di azioni coercitive che finivano inevitabilmente per fare effetto sulla donna. In questo contesto e nel corso delle verifiche di questi giorni la Squadra Mobile della Questura di Matera ha avuto modo anche di appurare che l'uomo era già stato denunciato per maltrattamenti tre anni fa anche se poi la denuncia era stata ritirata e che vi era pendente una richiesta di separazione giudiziale che sarebbe stata discussa il 7 giugno prossimo. “Se te ne vai o vuoi separarti io torno in Algeria con nostra figlia” è la più pesante delle minacce usate dall'uomo che al momento dell'arresto ha subito un malore, una specie di crisi nervosa che ha reso necessario il ricovero per qualche ora nell'Ospedale materano. Ma non ne mancavano altre di minacce: «tra le più sgradevoli quella dopo l’omicidio di Anna Rosa Fontana quando l’uomo presente sul posto dopo il fatto è tornato a casa e ha detto alla moglie: “attenta perchè può succedere anche a te”». Kerouchi è stato accompagnato nel carcere di Matera da ieri mattina mentre Debora ha potuto riabbracciare la sua piccola e provare a superare anni di sofferenze, minacce e maltrattamenti. Non sarà certo un passaggio semplice. Ma il passo più lungo, il coraggio più grande è stato oramai trovato. Per ripartire. PIERO QUARO

LA FUGA - Scappa a Lecco. Torna e denuncia
MATERA - E' lunga e articolata la serie di interventi messi in campo dalla Polizia e dalla Squadra mobile inQuestura di Matera: conferenza stampa (Foto: Il Quotidiano della Basilicata) particolare per arrivare a rintracciare Debora Citro. La donna scompare nel pomeriggio di giovedì 31 marzo intorno alle 16 quando i suoi tre cellulari che porterà appresso daranno gli ultimi segni di vita. La denuncia del marito Alen Kerouchi e della madre della ragazza arriva nella serata di venerdì primo aprile. Immediatamente vengono attivate dalla Polizia le ricerche a livello nazionale oltre ad una serie di meccanismi e verifiche per rintracciare eventuali movimenti della donna. Sin dal primo minuto non vi erano, come ha spiegato la Polizia, motivi per ritenere che vi fosse una qualche attività delittuosa ma tutto lasciava pensare esclusivamente ad una scelta volontaria della donna. “Gli interventi e le verifiche sono stati a tutto campo, sono state utilizzate le unità cinofile, gli elicotteri, coinvolti anche i Carabinieri per un monitoraggio completo del territorio” è stato spiegato dal capo della mobile Fucarino, “dai tabulati telefonici è balzato agli occhi un particolare cioè che alla madre di Debora è arrivata una telefonata di un uomo che le diceva di andare a prendere la bambina, il giovedì pomeriggio in lavanderia. Il fatto ci ha incuriosito ed abbiamo provveduto a verificare che si trattava di un amico di Debora che tra l'altro qualche giorno dopo era anche a Matera per cercare di vedere la bambina e assicurarsi che stesse bene. Quest'amico con cui la donna si era confidata, sapeva che era a Lecco. Sapeva anche qual era il suo nuovo numero telefonico. Quando lo abbiamo rintracciato e lo abbiamo convocato in Questura abbiamo avuto delle iniziali resistenze. Poi ci ha compreso, ha confessato di sapere dove era Debora e l'ha chiamato. Noi le abbiamo chiesto se stesse bene, se era andata via di sua volontà ma poi non paghi abbiamo chiesto se c'era qualcosa che voleva dirci. Rivelarci il motivo della sua fuga. La donna”, racconta ancora Fucarino, “non ha avuto grandi esitazioni. Si vedeva che cercava solo di essere aiutata e si è confidata molto presto. E' tornata a Matera, arrivando a Bari martedì sera e nella giornata di mercoledì ci ha confidato in dodici pagine di verbale tutto quello che era successo, tutto ciò che le aveva fatto subire il marito entrando anche nei particolari”. Alle 18 ha parlato davanti al magistrato Annunziata Cazzetta e ha raccontato i fatti e verso le 19 all'uscita dall'ufficio della dottoressa Cazzetta la Polizia aveva pronto l'ordine di fermo per Kerouchi. L'uomo però proprio in quei momenti si trovava negli studi televisivi materani per l'avvio del programma “Chi l'ha visto” per cui era impossibile contattarlo. La Polizia ha continuato dunque a tenerlo sotto controllo e ha aspettato che uscisse dagli studi. “Doveva venire in Questura avevamo appuntamento lì ma ad un certo punto ha cambiato strada” racconta ancora Fucarino, “ha incontrato un suo amico algerino che avevamo appena interrogato. Un uomo che aveva inviato un sms al cellulare di Debora dicendogli che era pronto a fuggire con la figlia in Algeria”. Un messaggio, l'ennesima minaccia per la donna che però la Polizia ha scoperto e per paura che l'uomo potesse, vistosi scoperto, prendere la figlia e scappar via lo ha fermato e portato in Questura intorno alla mezzanotte di mercoledì. Nella notte e di fronte alle accuse lanciate Kerouchi ha avuto una crisi, è stato portato in Ospedale e solo ieri mattina dimesso e accompagnato in carcere. Per lui anche il sequestro dell'auto da dicembre senz'assicurazione. PIERO QUARTO

L’INTERVISTA. «Non potevo più tacere. Uomini così sono animali»
La gioia per aver riabbracciato la sua bambina di otto anni, la sofferenza di questi dieci anni di cui salva solo pochi mesi, il ricordo orribile delle violenze, dei coltelli alla gola, sul petto ma anche la forza di reagire, il coraggio di andar via e ritornare a vivere. Fino all’appello alle altre donne: «la vita è bella e merita di essere vissuta al meglio, sto iniziando ad andare avanti e dico che bisogna fidarsi perchè c’è chi ci può e ci vuole aiutare, per cui si deve e si può denunciare ». Così Debora Citro racconta al “Quotidiano” la sua vita insieme a Allaoua Kerouchi. Come stai, come è stato il tuo ritorno a casa? «In questo momento sto bene, già il fatto di aver rivisto la mia bambina è una vittoria. Sono un po’ confusa per ciò che è capitato». Come è stato riabbracciare la tua bambina? Lei come ha reagito? «La bambina come mi ha visto ha iniziato a correre verso di me, ad abbracciarmi e a dirmi che mi vuole bene. Io ho fatto tutto per lei. Questi sono stati i momenti più belli». Invece questi anni cosa sono stati per te? «Sono stati un inferno totale, che non auguro a nessuna donna. Non ci sono parole per descrivere ciò che è stato, ho sofferto tanto in silenzio perchè avevo paura». Il coraggio di scappar via come ti è venuto, quando hai preso questa decisione? «Premetto che quando me ne sono andata ho tentato di proteggere mia figlia tramite mia madre. Sapevo che non le sarebbe successo niente a mia figlia. Ho deciso perchè ero terrorizzata, impaurita e quindi l’unica via d’uscita per me era la fuga». Nell’ultimo periodo questi comportamenti violenti erano aumentati, c’era stata una sorta di escalation? «Era aumentato da quando ho deciso di separarmi, da allora non ha accettato questa cosa. Da sette anni faccio tira e molla, la decisione ultima l’ho presa verso dicembre quando sono andata avanti con atti legali ». La sua reazione a questa decisione di separarti qual è stata? «Non è stata positiva, peggiorava. Io non l’ho mai illuso, io gli ho sempre detto che sarei andata avanti nel mio proposito. Ogni giorno che passava lo vedevo sempre più agitato». Ma lui anche nei primi anni del matrimonio, dieci anni fa, dava segnali di comportamenti violenti? «Il primo anno di matrimonio c’erano dei problemi, la concezione del matrimonio per me a 22 anni era diversa. Il primo anno c’erano alti e bassi però ho sempre tenuto duro per via della bambina perchè volevo aiutare lui a migliorare, dandogli il mio amore e tutto ciò che c’era da dare perchè non volevo guastare io la famiglia. Ma se ti devo dire in dieci anni quanto tempo sono stata bene posso dirti mesi,diciamo un anno». In questi due giorni che sei stata fuori con quale stato d’animo vivevi, avevi voglia di chiamare. Di sentire tua madre o tua figlia? «La paura l’ho sempre avuta, poi mi mancava la mia piccolina ». Il pensiero di tua figlia ti ha aiutato a dire ciò che stavi passando? «Indubbiamente lei mi ha aiutato ma io sapevo che questa era una cosa che andava presa di petto, io non potevo più tacere con questa persona. Proprio per mia figlia dovevo andare avanti, sapevo che sarei tornata e che sarebbe stata una lontananza temporanea. E’durata poco». Quali sono i momenti più brutti che hai passato con quest’uomo? «Le violenze subite e quando mi puntava il pugnale, le armi addosso. Al petto, alla gola». Te la senti ora di fare un appello alle altre donne che magari cercano lo stesso coraggio che hai trovato tu? «Sì posso dire che bisogna liberarsi in qualche modo per vivere bene, Loro conoscono solo la violenza, io li considero degli animali. Le autorità ci sono, io non mi fidavo ma mi sbagliavo. Mi hanno aiutato, e posso dire di andare avanti,di denunciare perchè la vità è bella. Va vissuta e non te la deve togliere nessuno». PIERO QUARTO

Ben integrato, stava lontano dagli alcolici, rispettava il Ramadan e pregava con il viso rivolto alla Mecca
In città dagli anni ‘90 con un unico vizio, il fumo
Alen Kerouchi (Foto: Il Quotidiano della Basilicata)MATERA - «E' un buon sistema sparire all'improvviso, scatenare un tam tam mediatico e fare in modo che si arrivi subito all'arresto. La denuncia non è mai seguita dall'arresto. Forse da oggi bisognerebbe suggerire alle donne maltrattate di agire in questo modo. Altrimenti, dopo la denuncia, la donna dove dovrebbe andare? Se torna a casa, nella migliore delle ipotesi viene riempita di botte». Elisa Cucuglielli, presidente dell'associazione Diva (acronimo di Donate il vostro aiuto, associazione materana in prima linea contro la violenza sulle donne), non ha dubbi. Da anni Diva si batte per ottenere una casa di accoglienza nella quale far rifugiare le donne vittime di violenza, allontanandole da un ambiente che di familiare ha soltanto una relazione distorta. Ma come si può sopportare per anni tutta una serie di abusi, psicologici e fisici? «A volte in un rapporto partenariale, che può essere tra marito e moglie o padre e figlio, può esserci un'ambiguità di fondo: chi subisce violenza di solito diventa complice per qualche motivo. -risponde Salvatore Gentile, psicologo e psicoterapeuta, vicepresidente dell'Ordine degli psicologi della Basilicata - Un coniuge può essere complice perché ci sono i figli o per timore di aggravare alcuni comportamenti. Del tipo “denunciandolo rischio la vita”. Per un altro aspetto, si ha sempre l'idea di riuscire a recuperare il rapporto, si fa leva sul sentimento positivo, si pensa alle cose belle che ci sono state. Terza cosa, esiste l'omertà, la stessa che predomina in una famiglia nella quale si compiono abusi. Se incontro un estraneo che mi maltratta non ci penso due volte a denunciarlo. Tante coppie - aggiunge - durano una vita intera pur tra alti e bassi e referti di ospedale. Dall'esterno è facile creare confini netti mentre nella realtà non ci sono». Gentile sottolinea come gli attaccamenti morbosi nei confronti del partner altro non sono che sintomo di insicurezza: «L'insicurezza si esprime con un senso di possesso verso le persone con le quali si hanno legami affettivi. In un rapporto tra pari, invece, c'è una sorta di progettualità comune. Quando il confronto ci costringe a metterci in discussione se siamo fragili non lo accettiamo e imponiamo noi determinati stili relazionali. Tutto ciò è focalizzabile solo nel rapporto tra adulti, tanto che, in questo caso specifico, la mamma ha lasciato la figlia, forse consapevole che alla bambina lui non avrebbe mai fatto del male». Affabile, mite, sempre gentile. Sempre con il sorriso sulle labbra, disponibile e ben integrato a Matera. Alen Kerouchi, per tutti Alì, a metà degli anni Novanta ha lavorato a lungo in un circolo ippico a pochi chilometri dalla città dei Sassi. “Mite” è forse l'aggettivo che riesce a descriverlo meglio: mai sopra le righe, l'unico vizio che aveva era quello del fumo. Stava lontano dagli alcolici, come da imposizione del Corano, rispettava il Ramadan e pregava con il viso rivolto alla Mecca. Il suo credo, tuttavia, non gli aveva impedito di inserirsi perfettamente nella realtà lucana. Quello che più colpiva era il suo carattere equilibrato, la sua socievolezza che però non sconfinava mai. Anche quando si avvicinava agli altri, lo faceva con discrezione. Alì non si è mai permesso di esprimere parole di troppo o fuori luogo. ROSSELLA MONTEMURRO

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