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Giacomo Amati

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GIACOMO AMATI
La Gazzetta del Mezzogiorno
1 Marzo 2011
Panariello: "In Libia tornerei, ma solo per lavorarci, non certo per farci una vacanza"

MIGLIONICO. “Fuori, per le strade, si sparava, anche alla luce del sole. Dentro di me il buio, la paura che ti blocca e quasi ti impedisce di respirare, di parlare”. Riaffiorano, vivissimi, i ricordi nella mente di Pasquale Panariello, miglionichese di 53 anni, operaio specializzato in elettronica, alle dipendenze della ditta milanese “Moditech” che si occupa dell’installazione di impianti elettrici a livello industriale. Pasquale, papà di due figli (Marica e Riccardo, rispettivamente di 23 e 13 anni), per motivi di lavoro, da quasi cinque anni, si trovava in Libia. Qui, suo malgrado, ha visto, da vicino, il dramma della guerra civile che, da una settimana, ormai, insanguina il Paese. Uno scenario imprevedibile quanto violento che mette in discussione tutto quello che hai e chi sei. Una situazione ad alto rischio che causa un capovolgimento totale delle priorità di vita; che prefigura un nuovo modo di concepirla: all’improvviso, senza colori, senza prospettive. Poi, finalmente, il ritorno a casa, il ritorno alla normalità: il massimo della felicità. E’ finita l’odissea di Panariello. Dopo tante peripezie, domenica notte Panariello è tornato a Miglionico, suo paese natio. Adesso si gode l’affetto dei suoi familiari. E’ sereno, può tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Da oggi, la sua vita non è più come un mare in burrasca; non è più immersa negli abissi.
Qual è il suo sogno? “Desidero soltanto un po’ di tranquillità, dichiara, per riappropriarmi fino in fondo della mia vita che è fatta di cose semplici, piccole cose che, però, quando ti mancano, sembrano meno banali: l’incontro con l’amico d’infanzia, la passeggiata al castello, la consumazione di un caffè al bar della piazza”. Cosa le resta di questa esperienza? “Mi ha fatto capire, osserva, che è importante saper vivere pienamente la propria vita, che bisogna godersi quello che si ha, poco o tanto che sia: tutto può svanire da un momento all’altro”. Nei momenti di maggiore caos, s’è sentito, per caso, abbandonato? “Avevo la consapevolezza di trovarmi in una situazione di precarietà, ma ho sempre avuto la fiducia che, con l’aiuto sia del titolare della ditta, Massimo Galli, sia con l’appoggio del nostro Ministero degli Esteri, che seguiva molto da vicino tutta la vicenda, sarei riuscito a cavarmela”. Tornerebbe in Libia? “Si vive di lavoro, sottolinea Panariello, in condizioni di sicurezza, ci tornerei, ma solo per lavorarci, non certo per farci una vacanza”. Adesso, col cantiere chiuso in Libia, corre, forse, il rischio di conoscere lo spettro della disoccupazione? “Per fortuna, precisa, non corro questo pericolo: molto presto, la ditta per cui lavoro, che è economicamente ben solida, mi chiamerà per andare a lavorare in un’altra parte del mondo: il passaporto ce l’ho sempre a portata di mano. Per me, il lavoro è una priorità”. Giacomo Amati

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