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ANTONIO CENTONZE 
Il Quotidiano della Basilicata
17 Agosto 2011
Duecento figuranti hanno portato in scena l’episodio che valse il nome di Malconsiglio
La Congiura è già grande evento
Oltre cinquemila persone a Miglionico per la straordinaria rievocazione storica
(Vedi album fotografico)
MIGLIONICO - Al Malconsiglio, una rievocazione di successo. Oltre 5.000 persone si sono riversate nel centro storico di Miglionico per assistere alla “prima” della rievocazione storica della Congiura dei Baroni. Molti i turisti giunti dalla costa jonica e dalle cittadine del Materano e Potentino, oltre che dalla vicina Puglia. Una giornata davvero da ricordare, quella del 14 agosto per Miglionico, il suo castello e la sua Congiura. Una congiura che fece guadagnare al castello federiciano eretto nel 1100 da Federico II, l'appellativo del “Malconsiglio”per l'epilogo funesto che dopo tale congiura si ebbe. I baroni che alla congiura parteciparono per cercare un accordo a loro favore contro re Ferrante, furono alla fine trucidati. La congiura si tenne realmente a Miglionico nel settembre 1485, come riportato dallo storico Camillo Porzio nella sua celebre opera, La congiura dei Baroni del regno di Napoli contro il reFerdinando I. Il re giunse a Miglionico, ricevuto con gli onori che gli competevano e fu magnanimo nel concedere quello che i baroni chiedevano per continuare a governare i loro territori. Li esortò a convincere anche gli assenti a sottoscrivere una “pace”, ma successivamente lo stesso Re, contravvenendo i patti, fece imprigionare e giustiziare i baroni più esposti nella congiura. Dopo 526anni, i giorni della congiura hanno ritrovato vita nel borgo di Miglionico, tornato per un giorno al 1485.

Piazza PopoloCon la sceneggiatura e direzione artistica della miglionichese Nunzia Decollanz, che si è avvalsa della consulenza storica del professor Giampaolo D'Andrea e dell'architetto Luigi Bubbico, la congiura è andata prepotentemente in scena per una prima, che non si dimenticherà facilmente. Dall'anno prossimo nell'opuscolo distribuito dall'Apt, “Basilicata che Spettacolo! Grandi attrattori fra storia e natura”, insieme alle rievocazioni della Storia Bandita della Grancia, della Città dell'Utopia di Campomaggiore e del Parco letterario Isabella Morra di Valsinni, non mancherà di certo l'evento di Miglionico e della sua congiura. Rigorosamente in abiti d'epoca scintillanti, il borgo, grazie alla partecipazione attiva di oltre duecento, fra attori e figuranti, molti dei quali indigeni, ha vissuto una giornata intensa e speciale che potrà essere rivista nelle magnifiche foto a rimarcar l'evento poste sul sito web comunale I falconieriwww.miglionico.gov.it. Dopo la cerimonia d'inaugurazione tenutasi nella corte del maniero alla presenza del sindaco, Angelo Buono, del consigliere regionale, Giuseppe Dalessandro, del Presidente del Consiglio di Basilicata, Vincenzo Folino, il borgo si è animato con i “Kalenda Maja”, musici storici a spasso per le vie del borgo. In piazza Castello, “Il volo dei falchi” dell'associazione “Deartevenandi” di Melfi ha appassionato con uno spettacolo di falconeria nel mentre “Historia”, un mercato storico con accampamenti, spettacoli d'armi, duelli, tiro con l'arco giochi ed arceria, riempiva ed animava le vie di accesso a castello con la collaborazione di tanti soci della locale Proloco che vi partecipavano in costumi d'epoca. Davvero maestosa, la rappresentazione dei Cavalieri Bianca Lancia andata in scena nel vecchio campo sportivo di Sant'Antuono. Il palio della giostra a cavallo, il gioco dell'anello e il lancio del giavellotto fra i 3 rioni storici di Miglionico, Torchiano, Sant'Angelo e Convento è stato appannaggio di quest'ultimo in una cornice di pubblico particolare. Un pubblico che ha potuto godere di una vista mozzafiato sul Lago di san Giuliano. E in serata, dopo l'esibizione degli sbandieratori “I Fieramosca” di Barletta, un Corteo reale fra le vie del borgo composto da baroni, consorti e dame di compagnia insieme a re e convenuti, ha portato alla congiura a castello. Una congiura che stava per cambiare la storia e che poteva rivelarsi, questa volta, fatale per il re che chiudeva il corteo a cavallo. Il cavallo del re, sicuramente non previsto da copione, proprio all'ingresso del Castello, è scivolato, disarcionando il re Ferrante, impersonato da Ernesto Garramone dell'associazione “Il Castello” di Potenza. Una caduta che fortunatamente non ha avuto conseguenze sia per il re, controllato e medicato nell'ambulanza presente a pochi passi e sia per la continuazione della Congiura vera e propria nella Sala del maniero. Una congiura svoltasi all'interno fra il Re e i baroni di Calabria, Lucania e Puglia. Una congiura proiettata sul maxischermo, allestito in una piazza castello gremita all'inverosimile, fra gli applausi e i volti estasiati dei tantissimi spettatori e partecipanti. Antonio Centonze

LO SCENARIO Lo strapotere dei baroni e l’antagonismo con il re

Piazza Castello e Via SiviliaIl REGNO dei Borboni. In quegli anni, 1485-1486, la resistenza opposta dai baroni alla fase di modernizzazione dello stato borbonico nel Sud Italia voluta dagli aragonesi a Napoli era evidente. Il reFerdinando I di Napoli, detto Ferrante, mirava ad eliminare quel potere feudale acquisito dai baronati sulle terre del sud per fare del potere regio la sola leva di vita del paese. In questo scenario, lo scontro con i baroni nasceva inevitabilmente attorno al grosso problema di una riforma organica dello Stato, i cui cardini si scontravano con la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e, soprattutto, la promozione a classe dirigente di nuovi imprenditori e mercanti napoletani. Strumento di questa politica del re Ferrante divenne la riforma fiscale, che mirava ad affidare nuovi compiti alle amministrazioni comunali incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale. Da documentazione e ricerche storiche nell'allora Regno di Napoli, su 1.550 centri abitati, solo poco più di cento erano assegnati direttamente al regio Piazza Castello: gli sbandieratoridemanio, cioè alle dirette dipendenze del re e della Corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai baroni. Il che significava che il potere feudale, nel suo complesso, era titolare delle risorse e delle finanze del Regno e che la Corte aragonese era nei fatti subalterna all'organizzazione baronale. Diveniva, quindi, naturale che il re favorisse in ogni modo l'estensione numerica delle città demaniali, sottraendole al peso feudale e incorporandole alla propria diretta amministrazione. Ma l'impresa non era di poco conto, in quanto i baroni erano organizzati in dinastie ramificate dallo Jonio al Tirreno. Gli Orsini Del Balzo, ad esempio, si vantavano di poter viaggiare da Taranto a Napoli senza mai uscire dai loro possedimenti; i Sanseverino, erano titolari di feudi sia in Calabria che in Basilicata tra i quali anche Miglionico; i Caracciolo, i Guevara, gli Acquaviva, i Senerchia completavano questa ristretta elite al potere, che di fatto accerchiava la capitale soffocando il Regno. Ed in più il baronato aveva l'appoggio della Chiesa. Baronie Chiesa nei fatti si coalizzarono contro il re, ostacolando uno sviluppo diverso della società meridionale. Antonio Centonze

L’inganno del consiglio SETTEMBRE 1485, per volontà di Girolamo Sanseverino, signore di Miglionico, la congiura, cui convennero i baroni delle terre del Mezzogiorno per incontrare e cercare degli accordi dopo aver ordito contro il re Ferrante I d'Aragona del Regno di Napoli e suo figlio Alfonso duca di Calabria detto il Guercio, ebbe un tragico epilogo. Di lì a qualche anno i baroni che vi presero parte furono tutti trucidati. Una congiura che ebbe il la grazie alle nozze di Melfi tra il conte Troiano Caracciolo e Ippolita Sanseverino, occasione di ludibrio e di trame contro il re, che ne venne in qualche modo a conoscenza. Una congiura in cui, il consiglio preso, si rivelò davvero sbagliato, appunto un “Malconsiglio”. Qui dopo aver congiurato contro la casa reale aragonese per garantirsi il controllo dei propri feudi e la continuità dei propri casati, i baroni tentarono un accordo con lo stesso re Ferrante per porre fine ad anni di lotte funeste e spargimenti di sangue. Il re, dopo essere venuto conoscenza delle vere volontà dei baroni, finse di accettare gli accordi. L'epilogo è tristemente noto. Antonio Centonze

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