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MARIO TOBINO
ANDREA CONSOLI
 
Il Quotidiano della Basilicata
10.06.2012
Lo scrittore toscano Nella “trascrizione”di Andrea Di Consoli
Assaggi di Tobino in Lucania
Le trattorie immaginarie di Miglionico
“Eravamo in Italia” Visita alle grotte di Matera
(Leggi l'articolo dalla pagina de Il Quotidiano della Basilicata)
A beneficio dei lettori del “Quotidiano della Basilicata” ho trascritto due brani dello scrittore toscano Mario Tobino (1910-1991) dedicati, rispettivamente, a Miglionico e a Matera. Li ho tratti dal libro “Passione per l'Italia” (prima edizione, 1958; prima ristampa, 1997). Il capitolo dal quale sono tratti i brani è intitolato “Nostalgia dell'umile Sud”, e fu scritto alla metà degli anni '50. I titoli dei due brani trascritti sono miei, non di Tobino. Mi si permetta anche, prima di augurarvi una buona lettura, una “fantasia” storico-sentimentale: i protagonisti di questi brevi frammenti narrativi potrebbero ancora essere in vita e dunque riconoscersi in queste descrizioni. Forse - ma non ne sono certo - sarebbe bello dar loro un nome e un cognome. Ma dubito che abbia davvero senso trasformare in carne e ossa i fantasmi della letteratura. Certo, scoprire il nome e il volto del bambino del racconto materano di Tobino emozionerebbe non poco l'umile trascrittore di questo lontano resoconto.

Mario Tobino (Foto: dalla rete)Le trattorie immaginarie di Miglionico
[…] Nato in Toscana, nella mia vita avevo sempre trascurato l'Italia meridionale.Li ascoltavo,quando mi capitava di incontrarli, come un accordo profondo, una legge che è già dentro di noi e c'è sempre tempo a prendervi visione. I meridionali mi ricordavano scorticanti partenze familiari, verità della nostra modestia, mormoravano al mio orecchio una voce che incitava il mio pudore a rinchiudersi. Arrivato alla anziana età sono andato a petto sicuro a trovarli. Da circa un'ora doveva essere suonato a qualche campana mezzogiorno. In quei minuti che ronzavano nel sole io e la Giovanna avevamo appena d'un poco oltrepassato un piccolo colle sul quale poggiavano diverse case a fare un paese, di nome Miglionico. Titubante non mi volevo fermare, la Giovanna sì. Continuavo a guidare più lentamente quando incontrammo due giovanotti. Erano tutti e due sudati; uno la mano afferrata al sellino per tenere in bilico la bicicletta, l'altro sopra per imparare ad andarci, afferrati i piedi e i polpacci agli astrusi pedali. Tutti e due imporporati ed allegri. Domandammo a quello più ridente e sudato che imparava la bicicletta e se ne stava in quel momento scendendo se a quel paese, sulla collina, c'era la possibilità di mangiare, se c'erano trattorie o almeno una osteria. Il giovanotto rispose (non si seppe mai sePassione per l'Italia di Mario Tobino con ironia o per far brillare il suo paese) che ce n'era quante ne volevamo e domandò di salire in automobile che volentieri ci avrebbe accompagnato tanto più che anche lui era diretto a Miglionico, dove l'aspettava la fidanzata. Come fu sopra continuò a ridere con accento sopra elevato e mi sembrava stesse come su un piede solo pur continuando a fare il sicuro. Si fece presto a imboccare la via della collina e si arrivò al paese che era intricato di stradette delimitate da tettoie accese dal bianco del latte di calce; subito si avvertì un sottile odore di strame che, tranquillo e padrone, chissà da quanti anni respirava tra quelle mura. A un difficile incrocio il giovane disse di fermare che avrebbe provveduto. Gli risposi con il mio migliore garbo che ci indicasse l'osteria e noi l'avremmo prima portato alla casa della sua fidanzata, da soli poi saremmo ritornati. Rispose che la fidanzata non era al paese, era in campagna, quel giorno c'era una festa. Il giovane era divenuto precipitoso. Scese che le ruote erano appena ferme. Lo aspettammo. L'aria continuava ad avere quel tanfo leggero che non si risolveva a sparire né a farsi più acuto. Il giovane entrò in una di quelle porte e subito ne uscì con un uomo magro e vivace, dagli occhi un poco febbricoli. Lo accompagnò da noi, ce lo presentò e quasi subito il giovane fuggì. Tentai di richiamarlo, mi ripeté il saluto che già era distante e continuò ad allontanarsi per quella strada deserta. La sua figura, che vedevo di spalle, alta quasi quanto le case, avvolta in quell'odore leggermente acido, aveva dell'irreale. Il nuovo venuto ci spiegò che quel giovane non aveva fidanzata, che in paese non esisteva neppure una trattoria. […].

“Eravamo in Italia” Visita alle grotte di Matera
[…] Facemmo il semicerchio della città e di grotte dove “gli uomini vivevano come le bestie”non ne vedemmo. E a una estremità del paese, vedendo uscire un prete da una porta confinante con la chiesa, mi fermai, scesi, lo fermai e gliene domandai. Era un prete elegante, svelto di persona; quando cominciai a interrogarlo stava montando sopra una bicicletta che un bambino gli aveva recato. Come avessi toccato a una zitella le ragioni perché non ha preso marito: “No, esagerazioni! Inutile che vada a vedere, hanno esagerato, esagerato!”, e trattava chi aveva descritto quel panorama come uno che ha voluto accarezzare la retorica per ottenere l'applauso. Non mancai di ringraziare e rimontando in macchina dissi alla Giovanna: “Le grotte ci sono”. Infatti erano vicinissime. Nella collina grigia, tutta sasso, che era davanti a noi, un po' sulla destra. Chiedemmo a un altro che guardava da un muretto lo strapiombo di quella sassosa collina (che da quella parte continuava a scendere finendo in una grande buca). Anch'egli ripeté: “Cominciano lì”. C'era un sentiero incassato nella roccia. Chiudemmo l'automobile a chiave e procedemmo di pochi passi. Ci fu la prima grotta. Era abitata da una donna piccola, nana; il marito era un bell'uomo, alto, che in quel momento era seduto sul muretto prospiciente e stava vezzeggiando tra le braccia un poppante. Da principio non avevo capito l'affare del mulo. Il mulo era fuori della porta attaccato a un chiodo per la cavezza. Fu la moglie a riceverci. Ci fece entrare “in casa”; certamente altri poveri curiosi come noi erano venuti e in questo mostrare aveva perfino una vaga ambizione. Nel sasso della collina c'era un buco, questo era la porta; al di là c'era uno scavo; la parete era mescolata di sassi e terriccio. Dentro questo spazio, che riceveva la luce dall'unica apertura dell'ingresso, c'era un letto matrimoniale, una tavola infissa al muro, quasi una mensola, con pochi oggetti sopra, e in un angolo due buchi fuligginosi che erano i fornelli. La prima spiegazione che la donna ci dette (era tanta la mia sorpresa che in me agivano i sentimenti e la perspicacia era morta), il primo avviso della realtà la donna me lo dette avvertendomi che il fumo, poiché non esisteva la cappa del camino, doveva uscire dalla porta e quando c'era freddo c'era il combattimento tra l'aprire il battente che separava dall'esterno per liberarsi dai miasmi della combustione e la consapevolezza che poi in quello spazio si sarebbe sostituita l'altra pena del freddo, che s'insinua anche nel letto. Capii finalmente la verità quando, notando oltre la spalliera del letto matrimoniale, “stile Novecento”, uno spazio vuoto ero per domandare perché non lo usufruivano e l'avevo appena indicato che la donna aggiunse: “E' il posto del mulo, d'inverno non possiamo cambiare l'aria e fa tanto puzzo”. Ora avevo capito. Il mulo dormiva con loro. Il marito era bracciante. Non esistono in quei luoghi case di campagna. Il mulo, affinché il marito potesse sostentare la famiglia,era necessario quasi quanto lui, per poter raggiungere la lontana terra dove per fortuna e preghiere era stato ingaggiato e poterlo trasportare a casa lungo la lunghissima via, conducendo insieme al lesinatissimo obolo qualche pezzetto di legno o qualche altro occasionale soprappiù. Fui costretto a immaginare quelle due persone con il loro sorridente bambino, quando, nel colmo della buia notte, il mulo aggiungeva alla sua bestia il fumo degli escrementi. Non prolungai la visita, l'ombra della grotta scottava. Eravamo in Italia. Sul muretto, ancora seduto, il marito parlava all'infante che gli rispondeva aprendo e chiudendo le piccole mani. Domandai a lui: “Ma vengono a vedervi?” “Quelli del governo?”, rispose. “Sì, vengono, ma poi è sempre lo stesso”. Aveva negli occhi una malinconia rassegnata e intelligente. Mentre parlava si manteneva attaccato il suo bambino che continuava a tumultuare. […]. Il sentiero delle grotte, incavato nei sassi, saliva. Ogni pochi metri c'era un buco e, dentro, il buio ripostiglio di una famiglia. Ci avviammo: ma dopo pochi passi la vergogna fu così acuta che, per un baleno guardandoci, ioe la Giovanna, tornammo indietro. Prendemmo la via di Bari. […].

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