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Tradizione (dialetto, proverbi, giochi, mestieri, festa patronale, ecc.)

I MESTIERI ANTICHI

Calderaio Fornaciaio Mest' d'asc' Mietitore Maniscalco Fornaio Lattaio Trainiere
Conzapiatti Scettacallar' Levatrice Calzolaio Mendicante Donna Stracciaro  

TRADIZIONE

Il dialetto
Giochi del passato
Soprannomi
Filastrocche
Proverbi
Banditore pubblico
I mestieri antichi
La banda
Festa patronale
Ricette nostrane
La civiltà contadina
Toponimi
Ricordi miglionichesi
Matrimonio anni '50
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

CALDERAIO

Era prezioso il mestiere del calderaio (lu cuallaral'): realizzava oggetti indispensabili alla vita quotidiana: la callar', una pentola di varie dimensioni in rame stagnato che serviva per lessare la pasta;  la  sartasc'n'  che serviva per friggere, ecc.
Era cura del calderaio ricoprire internamente i recipienti di rame con uno strato di stagno per evitare che si ossidassero, rendendo tossiche le pietanze (l'operazione si ripeteva ogni qual volta lo stagno si consumava).
Tutti questi oggetti facevano parte del corredo domestico e si appendevano ai chiodi di un telaio rettangolare di tavola appeso alla parete.
Oggi, i vecchi recipienti, stati sostituiti dalle pentole di acciaio inossidabile o di pirex; ricercati come pezzi di antiquariato in una società che ripropone un ritorno all'antico e al rustico.
L' quallaral'  non ci sono più. Matera, il nostro capoluogo di provincia,  li ricorda con una bellissima statua di bronzo, opera dello scultore locale Nicola Morelli. 

 

FORNACIAIO

Gli oggetti che anticamente venivano usati in cucina erano prodotti artigianalmente dai fornaciai, specialmente quelli che operavano a Grottole e a Matera. La materia prima utilizzata era l'argilla che, in zolle, veniva cavata dai calanchi o dai bacini lacustri delle nostre zone. La creta veniva lavorata e impastata pestandola con i piedi, compito affidato a ragazzi che venivano chiamati "pestacreta". Nelle fornaci si producevano mattoni, tegole per l'edilizia, cuch'm e zol' che si vendevano specialmente durante le fiere. Il vasaio portava il forno a temperatura elevata e per ricavare la terracotta , come combustibile usava la paglia di lino o fascine di rami di ulivo. Nei forni i mattoni si facevano cuocere per 24 ore e poi si sfornavano ed erano fatti raffreddare poggiati per terra. Un mattone di dimensioni di centimetri 20x30 costava circa 20 centesimi. Nelle fornaci, oltre ai mattoni, si fabbricavano anche i piatti e le pentole di terracotta. I piatti erano di dimensioni diverse ;solitamente nelle case si usava un unico piatto, la spas' in cui mangiava tutta la famiglia. La carne, i legumi, l'insalata, il lievito e la "cialledda" venivano riposti nel uar'vuattiedd'. Gli oggetti per contenere i liquidi erano: lu cuch'm', per l'acqua in terracotta beige, con la bocca stretta e due anse simmetriche sotto il collo ; la z'ledd', una brocchetta di terracotta verniciata, con la bocca che si restringeva a triangolo e con il collo largo; la zol', a forma di brocca con il collo dritto a cui erano attaccate due anse, che serviva per attingere l'acqua dalla fontana. Per arrotondare la misera paga, gli apprendisti, e non solo,  modellavano i "cucù", una specie di fischietto, delle piccole sculture che raffiguravano pupe e gallinelle, uomini della legge, cesti di fiori o strane creature originate dalla fantasia dell'artista. INIZIO PAGINA   

  MUEST' D'ASC'

Il maestro d'ascia costruiva botti, barili, produceva arcolai e conocchie, costruiva e riparava traini, perfezionava la forma delle ruote per infilarvi il cerchio di ferro. Lo scultore e scrittore Nicola Morelli, nel suo libro intitolato " Storie di Cheravanna ", così descrive le varie fasi della ferratura delle ruote eseguite da un maestro d'ascia. "E chi potrà mai dimenticare la scena magica della ferratura delle ruote?
La grande ruota veniva montata inserendo nel mozzo, un vero capolavoro d
i ebanisteria, i raggi a due a due, già bloccati nel corrispondente arco del cerchione di legno; venivano poi forzati controllando bene che il cerchio fosse perfetto. Intanto, a parte, veniva scaldato il grande anello di ferro che avrebbe rinserrato e bloccato definitivamente la ruota nella morsa del suo grande cerchione. Questo, il grande cerchio di ferro, posato per terra, veniva ricoperto in maniera uniforme da tanti pezzetti di legno, tutti uguali, che venivano incendiati e che portavano il ferro a temperatura di color bianco, provocandone la dilatazione.
Quando il cerchio era ben caldo e dilatato, veniva sovrapposto alla ruota, forzato perché la abbracciasse correttamente e saldamente lungo tutto il cerchione di legno, rapidamente raffreddato con docce d'acqua che, riducendone la dilatazione, lo portavano a rinserrare quel grande rosone di legno in maniera permanente e definitiva.
Uno spettacolo che ci teneva in silenziosa attenzione per tutto il tempo." A Miglionico l'ultimo maestro d'ascia è stato P'ppin' Ancon' (Giuseppe Ancona).
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  MIETITORE
Un lavoro molto importante nella vita del contadino era quello della "mietitura" in cui venivano coinvolti tutti i componenti della famiglia.
I lavori avevano inizio, generalmente, il 15 giugno, giorno di San Vito, quando il paese si affollava di   traini  con i quali si trasportavano fieno e covoni dai campi alle aie. Durante la mietitura venivano a Miglionico braccianti forestieri, i mietitori,  (generalmente dalla Marin', cioè dalla Puglie) i quali si fermavano in piazza  alla ricerca di un ingaggio. Lì passavano anche la notte, dormendo per terra con la testa poggiata su un fazzoletto colorato in cui mettevano pane, qualche indumento e i loro ditali di canne che servivano a proteggere le dita durante il taglio degli steli.
Alla mietitura seguiva il lavoro della trebbiatura: le spighe venivano battute con delle pertiche, oppure si facevano girare i muli bendati intorno alle aie al rumore della frusta o al ritmo dei canti del contadino.
Le aie erano costituite da spazi di terra battuta. I muli battevano gli zoccoli sulle spighe, guidati dal contadino che indossava un cappello di paglia per ripararsi dal sole cocente.
Le donne e i ragazzi si alternavano con gli uomini nella guida dei muli. Nel pomeriggio si svolgeva il lavoro della "ventilazione", che consisteva nel separare il frutto dalla paglia. Il grano, l'orzo e la biada venivano accumulati in sacchi di tela e trasportati col traino a casa dove venivano versati in grandi casse di legno (l' casciun'), con grande soddisfazione del contadino.
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  MANISCALCO Il maniscalco ( lu furruar') era l'artigiano che ferrava muli e cavalli, attività molto importante in un paese ad economia contadina contadina come Miglionico.
Uno dei maniscalchi di Miglionico: U Ruass' Egli, oltre a forgiare il ferro secondo la forma e la dimensione dello zoccolo, svolgeva altre funzioni: assisteva al parto degli animali, curava le ferite, "favoriva" la monta equina.
Si serviva di pochi ed elementari attrezzi:P'ppin' u furruar' (Giuseppe Piccinni) martello, tenaglia, incastro che serviva a pareggiare l'unghia dello zoccolo, chiodi realizzati da lui stesso.
Le prestazioni del maniscalco erano richieste in tutti i periodi dell'anno, in particolare nel periodo della trebbiatura in quanto gli animali dovevano essere ben preparati per il lavoro estenuante sull'aia. Tra i maniscalchi ricordiamo: Pasquale, Peppino e Sabino Piccinni, Nicola Tataranni, Albert' u furruar', M'ngucc(i)' u furruar', u Ruass'.
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  FORNAIO Il fornaio (lu furnuar'), il gestore del forno, era addetto alla cottura del pane e spesso diventava anche un confidente delle massaie, riuscendo aOrazio Amati e sua moglie: Furn' d' mienz' (Via Ettore Fireramosca) condividere le fatiche e gli affanni per procurarsi il cibo.
A Miglionico vi erano quattro forni: uno al Torchiano, uno in piazza S. Nicola, uno in Via Ettore Fieramosca e uno a S. Angelo.
La cottura del pane era preceduta da varie altre operazioni, scandite dallo scorrere del tempo. Era ancora buio quando il garzone del fornaio, facendo il giro dei vicinati, chiamava le massaie suonando una trombetta, perché si prenotassero per la cottura dei pani.
Le donne si affacciavano sull'uscio di casa e rispondevano mentre il garzone, nella sua mente, faceva il conto dei pezzi di pane da trasportare al forno.
In casa tutto era predisposto per impastare: il tavoliere, la farina, l'acqua tiepida, il sale, la "rasola" e "lu uaruattied", recipiente di creta contenente un pezzo dell'impasto precedente fatto inacidire che fungeva da lievito. Intanto i rintocchi delle campane annunciavano il far del giorno.
Preparato l'impasto, la massaia, dopo aver tracciato un segno di croce, lo ricopriva perché "crescesse". Questi gesti erano accompagnati da una preghiera rituale:
Crisc' mass'
crisch mass'
com cresc'
Crist' 'nda a fasc'.
(Cresci massa, cresci massa
come crebbe Gesù nelle fasce).
Intanto la massa lievitava e la donna, preparati i grossi pani, anche di quattro chili ciascuno, aspettava il ritorno del garzone che li trasportava al forno su una tavola di legno a spalla o con la trainedd' (trainella).
Generalmente le donne seguivano il garzone al forno per assistere personalmente all'infornata o ci mandavano una persona di fiducia: un figlio, un parente un amico. Si veniva a creare così una folla di donne, vecchi e bambini: ognuno ambiva a sistemare i propri pani al centro del forno, dove il calore giungeva in maniera più uniforme e, pur di conquistare quella posizione.
Dopo che i pani erano stati segnati con il timbro e infornati, la gente si allontanava dal forno per rientrare a casa.
Quando il pane veniva sfornato, i vicinati erano invasi dal suo fragrante profumo che allietava il cuore di tutti, ma soprattutto quello del contadino che con l'asino tornava dalla campagna. 
"Normalmente, ogni settimana, la madre impastava (trumbuav') per preparare il pane per tutta la famiglia. Mischiava lievito naturale (era un po' dell'impasto precedente, quindi, ben fermentato) farina, acqua tiepida e sale (normalmente per una famiglia di sei persone si impastavano 10 chili di farina) e iniziava la lavorazione (trumbuav').
Era un compito veramente molto stanchevole; il tutto assumeva la caratteristica di un vero rito che coinvolgeva l'intera famiglia. Le figlie più grandi, alcune volte, davano il cambio alla madre la quale poteva riposarsi qualche minuto, prima di riprendere il suo lavoro.  Dopo circa un'ora, la massa, ben coperta, veniva fatta riposare, perchè lievitasse per altre due. Successivamente si preparavano delle panelle di tre-quattro chili che venivano poste su di una tavola (la tavola del pane) e avvolte in una tovaglia. Ad una certa ora prestabilita il fornaio passava per le abitazioni delle famiglie che si erano prenotate il giorno precedente, per portare il pane nel suo forno a legna. Quando questi lo infornava, dopo aver bruciato moltissime "fascine" secche per rendere bollente il forno, lo segnava con un marchio o le iniziali del cliente, perchè, una volta cotto, non si confondesse con quello degli altri. Dopo un paio d'ore, il pane, ormai cotto, veniva sfornato, riposto sulle tavole e riportato, dallo stesso fornaio, ai legittimi proprietari. Era un pane dal sapore insuperabile. Il suo profumo particolare lo acquisiva anche da quello delle "frasche"bruciate. Aveva un sapore meraviglioso, anche se veniva consumato da solo o col pomodoro, con l'olio, con lo zucchero, ecc. Generalmente, ogni qualvolta si "trumbuav'", si preparavano nelle tortiere delle focacce condite con pezzettini di pomodori, olio extravergine di olive, aglio e basilico le quali venivano infornate prima del pane. Sono sapori passati e, forse, perduti, come la nostra giovinezza!". INIZIO PAGINA
  LATTAIO Fino agli anni cinquanta-sessanta  non esistevano le latterie per cui chi aveva la necessità di procurarsi del latte si recava, munito di recipiente, personalmente alla stalla. C'è da dire che non tutti si potevano permettere di acquistare quotidianamente il latte, che per alcuni era un alimento "di lusso".
Diffusa era la figura del lattaio ambulante, generalmente un contadino, un pastore che ogni mattina faceva il suo giro rifornendo i clienti della quantità di latte richiesto: un quinto o addirittura mezzo quinto, un quarto o mezzo litro.
Vivo è nel mio ricordo la figura di alcuni nostri compaesani che tutte le mattine passavano per le case   a rifornire le massaie del latte appena munto.
Spesso il latte non sterilizzato era causa di gravi affezioni e malattie come la febbre maltese.
Le donne più scrupolose e più informate lo facevano bollire a lungo prima che venisse bevuto da grandi e bambini.
Dei vecchi lattai ambulanti oggi rimane solo il ricordo. I lattai che si ricordano sono: Serafin' 'Nzurragghiat', Ch'lucc(j)' u' cruapar, Giuvuann' Abbruc(j)'.
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  LO STRACCIARO
Lo stracciaro era un ambulante che raccoglieva stracci e pezze vecchie da trasformare in nuovi filati  nei laboratori di riciclaggio. In cambio di pezze vecchie che infilava in voluminosi sacchi trasportati a spalla, offriva forcine per capelli, palloncini, giocattoli di poco valore, elastici, lacci per scarpe, bottoni, tutta merce preziosa in anni in cui scarseggiavano negozi e soldi.
C'era anche chi ritirava i capelli che le donne, quando pettinavano le loro lunghe chiome (a quei tempi si usavano i "tuppi"), raccoglievano e conservavano scrupolosamente in un sacchetto o in una vecchia calza oppure in una cavità della parete che poi veniva nascosta con un mattone, per poi barattarli con qualche spilla o anello, naturalmente di bigiotteria.
Questo oggi ci fa sorridere, ma ci dà anche l'esatta dimensione delle dure condizioni di vita in cui versava gran parte della popolazione  nel primo cinquantennio del nostro secolo.
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  CONZAPIATTI Capitava spesso che pentole, recipienti e brocche essendo fragili, sottoposti agli urti, si rompessero. In questo caso non venivano gettati via, come accade oggi, ma riparati dal "conzapiatti", un artigiano ambulante che per annunciare il suo arrivo in paese e consentire alle massaie di approntare sull'uscio di casa le brocche da riparare, gridava a squarciagola: "U cunzapiott, è arrivato u cunzapiott! U'  'mbr'llar'!".
Con un trapano rudimentale di legno ricuciva l'oggetto rotto: praticava dei fori e univa i cocci con un filo di ferro, spalmandoci sopra uno strato di cemento, restaurando così l'oggetto che riacquistava la sua funzione.
Il tutto avveniva sotto l'occhio vigile delle massaie che cercavano di evitare ogni spreco. Terminata la prestazione si passava al compenso pattuito in precedenza che dipendeva dal numero dei fori eseguiti: generalmente negli anni 30-40 il conzapiatti esigeva un soldo per ogni foro (20 soldi corrispondevano a una lira). I tempi erano duri e non sempre la gente aveva la possibilità di pagare, sebbene si trattasse di pochi spiccioli. Alcune volte si era costretti a pagare in natura...
Terminata la prestazione il conzapiatti riprendeva il suo giro nelle vie del paese, segnalando con vocalizzi la sua offerta che, il più delle volte, consisteva anche nella riparazione degli ombrelli.       
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  SCETTACALLAR'
Sino agli anni Cinquanta, molte abitazioni di Miglionico non erano ancora fornite di bagni perciò venivano usati i carri-botte, guidati dai scettacallar', che, soprattutto in estate, erano contro ogni forma di igiene e di decenza. Le acque luride venivano depositate nei pressi del cimitero. U scettacallar' girava di notte  o all'aba con il carro-botte raccogliendo gli escrementi depositati nei "quandr".
Le donne, svegliate in piena notte dal suono della tromba che annunciava l'arrivo del carro, si affrettavano a svuotare il recipiente fetido, cercando di battere in velocità tutte le altre cui era affidato questo sgradito compito.
Si comprende come in queste condizioni di vita fosse molto facile contrarre malattie. INIZIO PAGINA
  MAMMAN'
A Miglionico , normalmente,  si partoriva in casa con l'assistenza della mammana (la levatrice) che cercava in tutti i modi di  rispettare le norme igieniche, servendosi di strumenti sterilizzati come era possibile farlo a quei tempi.
La mammana era assistita dalla suocera, dalla madre, da vicine di casa, da  comare, ecc.. Quando il parto presentava complicazioni e bisognava scegliere tra la vita del Maddalena Montalbano ved. Russo
bambino e quella della madre, i parenti del marito miravano a salvare il bambino; per questo era indispensabile la presenza della madre della partoriente che proteggeva la figlia.
Alcuni bambini morivano durante il parto perché  non sempre era possibile assicurare loro un'assistenza adeguata.
Dopo il parto la madre restava a letto per qualche giorno  per favorire il ritorno dell'utero nella sua posizione fisiologica e perchè potesse riacquistare tutte le forze necessarie per accudire in modo adeguato il neonato. I familiari e gli amici della puerpera facevano a gara a procurarle dei colombini con i quali si preparava un ottimo brodo che ella doveva bere.
Frequenti erano le emorragie o le infezioni gravi come la febbre o sepsi puerperale che causavano molti decessi, date le scarse condizioni igieniche e gli impropri interventi sanitari. Le mammane che si ricordano sono:
Filomena Contini, Donna Faustina (detta Muammanon'), la Bolognes', la signora Maddalena Montalbano ved. Russo. INIZIO PAGINA
  CALZOLAIO
In passato questo mestiere, anche se poco remunerativo, era assai diffuso perché anche i benestanti usavano far ricucire o risuolare le calzature.
Il calzolaio generalmente lavorava in un posto fisso, in un angolo dell'abitazione, in un portone o in un angusto locale; durante la bella stagione il banchetto del calzolaio veniva sistemato all'aperto, spesso in un vicinato..
Uno degli utlimi scarpari Era abitudine, per sfruttare al massimo le scarpe, far rinforzare le suole con piccoli ferri o chiodi che producevano un particolare tintinnio, al suono del quale si poteva intuire facilmente che le scarpe erano nuove (ciò avveniva specialmente in prossimità delle feste).
In genere ogni maestro calzolaio aveva due o più apprendisti che sedevano con lui attorno "u banch'tiedd'", il deschetto.Giuseppe Daddiego (Mest' P'ppin'), calzolaio a Buenos Aires (Argentina), nel 1925 Molto spesso i calzolai andavano a svolgere il loro lavoro direttamente a casa di clienti che avevano una numerosa prole. Il calzolaio rimaneva a casa del cliente per tutti i giorni necessari a calzare tutti i componenti della famiglia. Era tutto un rito: la misura del Francesco Santomassimo (Z' 'Ngicch', 1894-1984) piede, la scelta della tomaia, la realizzazione delle scarpe. Un ricordo particolare va ad un mio parente, zio di mio padre, Z' 'ngicch' (Francesco Santomassimo), un uomo bravissimo, un calzolaio eccezionale; a P'ppin' Daggiegh' e N'col' a R'nd'nedd'.
I calzolai più abili, e lui era uno di questi, erano in grado di realizzare   scarpe su misura, secondo le richieste della clientela e gli orientamenti della moda.
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   TRAINIERE
U trainier' era il conduttore del traino, un mezzo di trasporto per merci, per prodotti agricoli ed anche per persone. Veniva usato sia per brevi spostamenti, dal paese alla campagna dove si svolgeva il lavoro agricolo, sia per spostamenti più lunghi.
Alcuni contadini, quelli più benestanti, erano anche proprietari di traini; altri invece per il trasporto delle merci erano costretti a prenderlo in fitto.
Il legame che il padrone stabiliva con l'animale era molto saldo, spesso improntato ad un sentimento di affetto: poteva succedere che il carrettiere fosse più preoccupato della salute del cavallo che della propria.
Anche le feste patronali e religiose come la festa di Picciano o quella di S. Pietro attiravano a Miglionico molta gente dai paesi vicini: tutti venivano col traino o con la charrette tirati da animali infiocchettati da coccarde e nastri multicolori. 
I trainieri che si ricordano sono: Don Giuvuann' Jridd' e Pasquale Iardiedd'.
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  MENDICANTE La carrellata di mestieri ed attività esaminati ci offre un'idea delle condizioni di vita e di lavoro nella vecchia Miglionico.
Tra i vari mestieri antichi occorre annoverare anche il mendicante che vagava per la strade o bussava alle abitazioni in cerca di aiuto economico, in assenza di uno Stato sociale. Queste persone povere, malandate, cenciose arrivavano da altri paesi ed erano lo spauracchio dei bambini. Infatti, quando una persona adulta ne voleva intimorire uno, diceva: "Mo ven' lu puzzuent'". 
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  LA DONNA

 

Per comprendere il ruolo assunto dalla donna presso la società contadina, è sufficiente osservare la fotografia di un gruppo di famiglia: generalmente la madre è posta al centro, gli uomini e le figlie dietro o ai lati.
Questa posizione ci fa capire che la moglie costituiva il fulcro dell'economia e dell' equilibrio della famiglia contadina in cui svolgeva un ruolo fondamentale. Mentre la donna poteva sostituire la manodopera dell' uomo o collaborava con lui nei lavori dei campi, specie in quelli stagionali di mietitura, trebbiatura, raccolta delle olive, un uomo non poteva mai prendere il posto di sua moglie o di sua figlia.
Le principali attività, oltre a quella domestica, consistevano nel coltivare l' orto, raccogliere i frutti, allevare gli animali domestici, vendere le uova. Nella società del passato, non esisteva una distinzione netta tra lavoro e tempo libero, nel senso che una volta assolti i compiti sopra descritti, le donne si dedicavano al ricamo, al rammendo, alla filatura, alla maglia che costituivano nel contempo un lavoro e un passatempo. A queste occupazioni si adempiva per lo più di sera, quando le donne erano riunite nel vicinato.
Un altro compito riservato alle donne era il bucato le cui operazioni duravano circa una settimana: le robe si raccoglievano in un grande cesto (sport') e, dopo quindici giorni, si mettevano a bagno con la soda. Il giorno dopo si cambiava l'acqua e le robe si strofinavano per la prima volta con il sapone e poi si lasciavano di nuovo a bagno e si insaponavano il giorno seguente. La biancheria veniva ammucchiata  in un cofano forato alla base perché scolasse; era coperta con un panno che serviva a far filtrare la cenere. La cenere serviva a rendere bianco il bucato che la mattina dopo si sciacquava, "r'c(i)'ntav'" un paio di volte. Quindi la biancheria veniva stesa e, una volta asciutta, raccolta in canestri.
Alle ragazze erano affidati compiti particolari come quello di riempire l'acqua alla fontana o di gettare i rifiuti organici nel carro-botte.
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Fonte: Mestieri e Mestieri - Viaggio nel passato alla scoperta di mestieri scomparsi
Scuola Media Statale "A. Volta" - Matera


Created by Antonio Labriola - 10 Luglio 1999 - Matera (Italy)